Ieri, la compagnia petrolifera statale del Venezuela, la PDVSA, ha evitato tecnicamente il default, avendo raggiunto un accordo di swap con i creditori sui bond con scadenza entro quest’anno per un controvalore di 2,8 miliardi di dollari. Grazie all’intesa, le obbligazioni saranno estese di durata fino a tutto il decennio, consentendo alla società emittente di affrontare con maggiore serenità finanziaria i prossimi mesi. Ma gli obbligazionisti sono stati costretti ad accettare lo swap, dietro la minaccia della PDVSA di un default altrimenti imminente, già a partire da questa settimana.
Ma a fronte di un discreto balzo delle quotazioni del petrolio nelle ultime settimane, la produzione risulta diminuita a settembre dell’11% su base annua. Non solo. Si apprende che nemmeno tutto il greggio estratto dai pozzi viene venduto negli ultimi tempi, perché la compagnia non avrebbe denaro a sufficienza per pagarne il trasporto.
Il default del Venezuela sarebbe istantaneo dopo quello di PDVSA
Il petrolio rappresenta il 96% del valore delle esportazioni del Venezuela, il quale non a caso è a corto drammaticamente di dollari per importare beni e servizi, compresi quelli di prima necessità. Se la PDVSA fallisse, a ruota seguirebbe il default sovrano, dato che la banca centrale di Caracas detiene riserve valutarie per appena 12 miliardi di dollari. Il paese perderebbe, infatti, l’accesso al mercato dei capitali finanziari esteri.
Per capire a che punto siamo arrivati con la crisi, si consideri che sul mercato nero, il cambio tra bolivar e dollaro è salito ai massimi di sempre, cioè a 1.222, quando il cambio fisso ufficiale è solo di 10 e quello semi-libero viaggia intorno a 660. (Leggi anche: Maduro inseguito dalla folla – video)