Già da oggi dovremmo saperne di più, ma è da mercoledì che il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha voluto precisare che le detrazioni legate al Superbonus 110 saranno spalmate dagli attuali cinque a dieci anni. E la misura, ha chiarito, sarà “obbligatoria”, paventandone al contempo la retroattività. Un tentativo in extremis per salvare i conti pubblici, che lo scorso anno sono risultati gravati di una quarantina di miliardi di euro in più delle previsioni iniziali dagli incentivi fiscali per le ristrutturazioni edilizie.
Detrazioni Superbonus e cessione del credito
Ripercorriamo velocemente la materia. Il Superbonus è un maxi-incentivo, che concede alle famiglie detrazioni pari al 110% delle spese sostenute per le ristrutturazioni. Queste hanno avuto tre vie per fruirle:
- scaricare le somme direttamente dalla dichiarazione dei redditi
- cessione del credito a una banca o altro intermediario finanziario
- cessione del credito all’impresa attraverso lo sconto in fattura
Impatto devastante sui conti pubblici
Il successo dell’iniziativa si deve alle ultime due alternative, specie allo sconto in fattura. In questo modo, le famiglie proprietarie di immobili oggetto di ristrutturazione non hanno dovuto anticipare alcunché e hanno potuto realizzare i lavori anche a fronte di redditi bassi. Tuttavia, il meccanismo ha avuto due effetti perversi. Il primo sui prezzi dei materiali e i preventivi delle imprese, esplosi a livelli abnormi. Il secondo sui conti pubblici, creando voragini alle entrate fiscali per via delle detrazioni ammesse con il Superbonus.
Ora che il nuovo Patto di stabilità è tornato in vigore, l’Italia non può permettersi di vincolare diversi punti di Pil all’anno per finanziare il deficit legato a questa misura. Oltre ad eliminare la possibilità di ricorrere allo sconto in fattura e alla cessione del credito, Giorgetti vuole attivare una terza misura estrema: allungare da cinque a dieci anni il periodo di fruizione delle detrazioni con il Superbonus.
Fiducia nel debito pubblico a rischio
Giorgetti ha ragione nel voler tutelare il bilancio da una misura studiata male. Abbiamo già un altissimo debito pubblico e siamo costretti ad emettere titoli in quantità industriale anche solo per rifinanziare le scadenze. Tuttavia, interventi di questa natura rischiano di sortire l’effetto contrario. Lo stato non può e non deve cambiare le carte in tavola, anche se avesse ragione. Sarebbe come se, a partita iniziata, un arbitro di calcio decidesse che la regola del fuorigioco non valesse più o che la doppia ammonizione non comportasse l’espulsione.
Le famiglie hanno acquistato oltre 125 miliardi di titoli di stato nel solo 2023 e lo hanno fatto, in primis, perché attratti dal rendimento, ma anche per la fiducia che ripongono in quel debito. Non si aspettano di certo che prima o alla scadenza il Tesoro dica loro che rimborserà un capitale inferiore o che lo farà in una data posticipata o che taglierà le cedole. Si tratterebbe di una ristrutturazione del debito, tra l’altro unilaterale. E perché mai potrebbe permettersi di fare una cosa simile nei confronti dei cittadini (proprietari di case, imprese e banche) che hanno confidato nelle sue stesse leggi?
Detrazioni Superbonus più lunghe, beneficiari gli incapienti
Manovre retroattive sulle detrazioni per il Superbonus, pur mosse da intenti positivi, rischiano di rivelarsi un boomerang per la capacità attrattiva dei titoli di stato nel prossimo futuro. Molti risparmiatori avrebbero qualche remora nel fidarsi di un Tesoro che ha cambiato le regole in corso d’opera. Per paradosso, alcuni cittadini potranno beneficiare della stretta. Sarebbero gli incapienti, cioè coloro che non hanno redditi e, di conseguenza, Irpef a debito netta a sufficienza per scaricare del tutto le spese delle ristrutturazioni.