Deutsche Bank e Commerzbank non saranno unite in matrimonio. Le trattative tra i due istituti sono naufragate sui rischi elevati dell’operazione, a fronte di benefici attesi relativamente bassi. Due i veri, grandi ostacoli alle nozze: i circa 30.000 esuberi necessari stimati e la previa ricapitalizzazione richiesta dalla BCE a DB. Adesso, però, i guai sono solamente all’inizio per il ceo Christian Sewing, il quale ha fissato per quest’anno un target sul ROE (rendimento del capitale) al 4%, mentre nel primo trimestre si è attestato solo all’1,3%.
La fusione tra Deutsche Bank e Commerzbank salta, Unicredit in pista?
Deutsche Bank è una banca di investimento, ossia specializzata perlopiù sulla finanza “speculativa” e sulla gestione del risparmio, oltre che sul banking commerciale. Per questo, non gode di buona reputazione tra i tedeschi, che la ritengono di scarso sostegno all’economia in Germania, a fronte di elevati rischi a carico dei contribuenti. Tuttavia, il non detto è che DB sia stata quasi spinta a concentrarsi sulla finanza all’estero, disponendo in patria di margini di manovra assai ridotti sul mercato del risparmio domestico.
Perché? Appena un quinto dei depositi tedeschi è acceso presso le tre grandi banche operanti in Germania (DB, CoBa e HVB-Unicredit); il restante l’80% si trova nelle filiali delle banche pubbliche regionali o Landesbanken e quelle di risparmio o Sparkassen. E come mai? Le banche pubbliche tedesche godono di benefici da parte della politica locale, che le sfrutta per ragioni di consenso. Le relazioni tra potentati politici e board degli istituti sono così fitte, che Berlino ha chiesto e ottenuto dalla BCE di sottrarre queste realtà alla Vigilanza europea, imponendo la fissazione di criteri ad hoc per evitare che i relativi bilanci (opachi) finissero sotto le lenti di un’authority non tedesca.
Il sistema bancario tedesco è malato
Poiché il risparmio in Germania è gestito sostanzialmente da banche protette da governatori e consigli regionali e viene convogliato per finanziare a condizioni agevolate il sistema industriale nazionale, alle grandi banche che operano secondo criteri di mercato non resta che prestare denaro a condizioni meno vantaggiose e a discapito dell’efficienza, se è vero che DB ha costi pari al 95% dei ricavi. In altre parole, l’unica cosa che le grandi banche tedesche possono fare per sopravvivere a una concorrenza nazionale “sleale” è di fuggire all’estero, dandosi alla finanza. E così, DB si trova oggi a gestire una montagna enorme di contratti derivati dal valore nozionale di oltre 48.000 miliardi di euro, anche se nettati crollerebbero a solo qualche miliardo, per cui le perdite massime potenziali non sarebbero così eclatanti.
Sulle banche la Germania fa come vuole, ecco come sta fregando i partner dell’euro
La mancata fusione ha posto l’accento sulle criticità del sistema bancario tedesco, non risolvibili attraverso singole operazioni di ristrutturazione, anche perché la governance sembra complessivamente più ingessata di quanto si possa credere. Ad esempio, il forte potere dei sindacati, che hanno rappresentanti in seno ai consigli di sorveglianza, non permette ai dirigenti di tagliare la forza lavoro di quanto sarebbe necessario per ridurre adeguatamente i costi. E la politica, che in Germania usa le banche per mantenere il consenso, si gira dall’altra parte, un po’ come ha fatto in questa occasione, subito dopo avere capito che la fusione avrebbe implicato costi sociali rilevanti.
Peccato che in questi ultimi 5 anni, in particolare, lo sport preferito di Berlino sia stato di puntare il dito contro le banche italiane, le quali risultano certamente oberate da crediti deteriorati in misura (ancora) più che doppia della media europea, ma per effetto di una crisi economica che ha travolto imprese e famiglie.