A che gioco sta giocando Luigi Di Maio? Se lo chiedono impauriti e spazientiti proprio i parlamentari del Movimento 5 Stelle, all’interno del quale si è costruita una sorta di diarchia tra il portavoce e ministro degli Esteri da un lato e il premier Giuseppe Conte dall’altro. Il primo ha indossato i panni del leader critico verso il governo “giallorosso”, a cui non ne fa passare una senza dire la sua. Il secondo va da sé che debba difendere la propria posizione di cerniera tra le varie anime della eterogenea maggioranza.
Il primo riguarda la risposta al segretario del PD, Nicola Zingaretti, che ha chiesto l’approvazione dello “ius soli”. “Sconcertante” per il grillino, che ha rimarcato come il tema non faccia parte del programma di governo e che non se ne parlerà da qui a fine legislatura. E, poi, è arrivato l’inatteso caso sul Fondo salva-stati. Di Maio ha chiesto un vertice a Palazzo Chigi per evitare una riforma rovinosa per l’Italia, cosa che ha imbarazzato il premier, il quale non aveva immaginato che sulla questione avrebbe ricevuto una dura frenata da parte del “suo” stesso leader di partito.
Fondo salva-stati, ecco perché è una grossa fregatura per i risparmiatori italiani
Infine, l’ex ministro della Difesa, Elisabetta Trenta. Anche dopo avere lasciato il dicastero ha continuato a vivere per qualche centinaio di euro al mese in un appartamento di 180 metri quadrati al centro di Roma, intestandone l’affitto al marito ufficiale dell’esercito. Per un movimento che ha fatto della lotta ai privilegi un simbolo della propria stessa esistenza, accaduto inaccettabile. E così, Di Maio ha minacciato senza troppi giri di parole la Trenta: o fuori dalla casa o fuori dal partito.
Il divorzio tra Di Maio e 5 Stelle
Tutti e tre i casi spingono Di Maio a destra, cioè dalle parti della Lega di Matteo Salvini, anch’egli critico verso la riforma del MES, così come notoriamente lo è contro lo “ius soli”. E la Trenta del leghista è stata una oppositrice interna al governo “giallo-verde”, tanto che a settembre si lamentò della sua esclusione dalla lista dei nuovi ministri, avendo rappresentato l’anti-Salvini nel precedente esecutivo. Sta di fatto che ieri un sondaggio suonava alquanto amaro per Di Maio: il 53% degli elettori 5 Stelle sarebbe favorevole allo “ius soli”, il 38% contrario. Dunque, il portavoce starebbe andando non solo sempre più contro i suoi parlamentari, ma anche la stessa base.
Com’è possibile? Semplice. Il Movimento 5 Stelle è crollato dal 32,7% delle elezioni politiche del marzo 2018 al 16-17% assegnatogli dai sondaggi in questa fase. Il dimezzamento è avvenuto per via della fuga degli elettori più di destra, ritrovatisi in Salvini. Chi ancora rimane a votarlo è perlopiù un elettorato di sinistra, spesso dalle posizioni più radicali del PD. Di Maio ha due opzioni: cavalcare le posizioni più progressiste per cercare di drenare consensi al PD o riposizionarsi a destra, facendo da contraltare a Zingaretti e a Matteo Renzi. Sta scegliendo questa seconda opzione e per due ragioni essenziali: egli non è un uomo di sinistra e non ambisce a restare alleato con il PD, bensì a spostarsi a destra alla prima occasione utile.
Di Maio coltiva il probabile piano B, l’addio al Movimento 5 Stelle e la guida di una corrente ristretta di parlamentari ed elettori delusi dalla direzione presa negli ultimi tempi dal fondatore Beppe Grillo e il premier Conte. L’obiettivo consisterebbe nel creare un soggetto politico più incline alle posizioni di centro/destra, magari alleato della Lega in un governo che verrà.
Il piano di Salvini per mandare a casa il governo, con l’aiuto di Di Maio?