Luigi Di Maio spiega che la cancellazione dell’obbligo per lo stato di centrare il pareggio di bilancio, inserito in Costituzione nella primavera del 2012, rientra tra i punti del contratto di governo sottoscritto tra Movimento 5 Stelle e Lega, e ritiene che nei prossimi anni sarà realizzata. Interpellato sul tema, il premier Giuseppe Conte ha smentito che sia intenzione del governo rimuovere tale vincolo. Insomma, c’è confusione sulla linea ufficiale dell’esecutivo, anche se essa riflette semplicemente il gioco delle parti: Palazzo Chigi ha il compito, insieme al Ministero dell’Economia, di rassicurare i mercati finanziari, mentre i due vice-premier puntano a conciliare le ragioni del bilancio pubblico con quelle elettorali del consenso.
Dalla riforma Fornero al pareggio di bilancio, la politica italiana si conferma miope
Tuttavia, non poteva essere più sbagliata la tempistica dell’annuncio. Lo spread BTp-Bund a 10 anni è tornato sopra i 250 punti base e i rendimenti decennali italiani si sono riportati in area 3%, mentre quelli a 2 anni viaggiano decisamente sopra l’1%, unici nell’Eurozona, Grecia esclusa, a rendere positivamente. A titolo di confronto, i titoli del Portogallo per la medesima scadenza offrono il -0,18%. Unico aspetto positivo – lo ribadiamo – lo spread 10/2 anni costante intorno o al di sopra dei 180 bp, segno che la curva non si starebbe (ancora) pericolosamente appiattendo.
Pareggio di bilancio, l’eterno rinvio
Lanciare un segnale fiscale lassista non serve in questa fase, anzi appare deleterio. Intendiamoci, pur essendo diventato vincolante sin dal 2014, il pareggio di bilancio non è stato da allora nemmeno lontanamente raggiunto, anzi il deficit statale ha chiuso il 2017 al 2,3% del pil. Inizialmente, con i commissari era stato pattuito un raggiungimento dell’obiettivo nel 2016, salvo essere stato rinviato di anno in anno fino al 2020 odierno, seppure poco credibile. Per l’anno prossimo, il governo Gentiloni aveva concordato con Bruxelles lo 0,8%, ma sembra che l’attuale esecutivo giallo-verde voglia centrare un target dell’1,7%.
Il governo Renzi rinvia il pareggio di bilancio al 2017
Cos’è il pareggio di bilancio? La chiusura del bilancio statale senza alcun disavanzo, sebbene nella stessa Costituzione sia stato previsto un limite massimo dello 0,35%, in condizioni cicliche avverse. Se lo stato chiudesse ogni anno il bilancio in pareggio, nel giro di una ventina di anni, supponendo una crescita nominale media del pil (pil reale + inflazione) del 2,5% all’anno, il rapporto debito/pil scenderebbe automaticamente all’80%. In realtà, con un costo per onorare il debito pubblico intorno al 4% del pil all’anno, l’obiettivo verrebbe centrato con un avanzo primario della stessa entità, ossia praticamente raddoppiato rispetto ai livelli attuali. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, un avanzo primario già al 3-3,5% del pil sarebbe politicamente non sostenibile. L’istituto lo ha chiarito senza fronzoli con riferimento alla Grecia.
Ora, ci sarebbero due strade da percorrere per pareggiare i conti pubblici: tagliare la spesa pubblica o aumentare le entrate (più tasse). La terza via sarebbe un mix dell’una e dell’altra. L’Italia vanta già uno dei livelli più alti nel mondo sviluppato per la pressione fiscale, che si aggira intorno al 43% del pil. Fare leva su maggiori entrate significherebbe strangolare definitivamente l’economia. E allora, non resterebbe che tagliare la spesa pubblica, sebbene l’operazione sia in sé dolorosa sul piano del consenso politico. A tale proposito, il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, vorrebbe “congelare” la spesa pubblica nominale per l’anno prossimo, ricavando almeno una decina di miliardi di euro da destinare alle altre esigenze, tra lo stop all’aumento dell’IVA, il taglio delle tasse e l’avvio del reddito di cittadinanza, oltre che la revisione della legge Fornero.
Come rendere il pareggio di bilancio popolare
Il pareggio di bilancio è impopolare, perché in Italia, alle condizioni date, implica la prospettiva di tasse sempre più alte, anziché quella del taglio della spesa pubblica improduttiva o non strettamente necessaria per il soddisfacimento dei bisogni dei cittadini. Pertanto, il vincolo costituzionale andrebbe corredato dalla previsione che l’obiettivo verrà raggiunto di anno in anno, fermo restando che la pressione fiscale non possa superare un limite massimo stabilito. Se fissassimo tale percentuale al 40% del pil, significherebbe costringere lo stato a trovare quei 2 punti di pil per azzerare il deficit ricorrendo solo ai tagli alla spesa pubblica, dovendo anche perseguire l’obiettivo di tagliare la pressione fiscale di 2-3 punti di pil, in ottemperanza alla nuova e più completa previsione della Carta. Senza farlo apposta, significherebbe ridurre le tasse per una cinquantina di miliardi, l’importo necessario a finanziare la “flat tax” nella versione minimal concordata nella maggioranza.
Nel lungo periodo, pareggio di bilancio significherebbe in Italia più efficienza del settore pubblico, minori sprechi, lotta reale alla corruzione diffusa nella Pubblica Amministrazione e tasse più basse a carico dei contribuenti. Un vincolo apparentemente oggi così impopolare fungerebbe da stimolo per ammodernare la nostra economia, smantellando le sacche di inefficienze che si annidano nel settore pubblico. I frutti non sarebbero immediati e anche per questo servirebbe che la politica iniziasse a ragionare sul lungo termine, anziché concentrarsi su misure di impatto immediato e alla lunga inutili o persino dannose, nonché cessasse di reagire in maniera quasi compulsiva ai pungoli in arrivo dai mercati finanziari o dai commissari europei. No, ministro Di Maio, non rimuovete il pareggio di bilancio in Costituzione; semmai, legate le mani al Leviatano, costringendolo a mettersi a dieta e a drenare minori risorse dalle tasche dei contribuenti.
Pressione fiscale in Italia cresciuta il triplo dal 2005 rispetto all’Europa