Una scoperta sensazionale per la piccola e prestigiosa società mineraria canadese Lucara Diamond Corp., che questa settimana ha annunciato di avere trovato un diamante di 2.492 carati nella cava di Karowe, nel nord-est del Botswana, a 430 km di distanza dalla capitale Gaborone. La gemma risulta essere la seconda più grande al mondo dopo quella ribattezzata Cullivan, dal nome del proprietario della miniera sudafricana in cui fu trovata nel 1905. Essa è di 3.106,75 carati e parti di essa sono ancora oggi incastonate nella Corona di Sua Maestà del Regno Unito.
Boom azioni Lucara con scoperta del diamante
Il diamante trovato in questi giorni pesa circa mezzo kg e ha le dimensioni di una palla da baseball. La scoperta è stata possibile grazie all’uso dei raggi X. Le azioni di Lucara sono balzate fino a un massimo del 91%, anche se hanno chiuso la seduta successiva all’annuncio in rialzo del 33%. In valore assoluto, hanno guadagnato circa 40 milioni di dollari.
Valore incerto
In realtà, non esiste alcuna indicazione sul possibile valore della gemma. Contrariamente ad altri preziosi come oro, argento e platino, il prezzo di un diamante dipende da numerosi fattori, tra cui la forma, il colore e la lucentezza. E questa non è una fase positiva per il mercato. Pensate che dai massimi recenti toccati nel marzo del 2021, in media i prezzi risultano crollati di oltre il 37%. Quest’anno, il prezzo medio per carato è rimasto sostanzialmente invariato, anche se dai picchi di primavera è sceso del 10% a 4.100 dollari.
Tuttavia, sempre Lucara scoprì nella stessa miniera del Botswana un altro grosso diamante nel 2015 di 1.109 carati. La pietra fu venduta per 53 milioni. Se le valutazioni fossero in linea, dunque, quella appena scoperta potrebbe arrivare a un centinaio di milioni. Ma cosa sta deprimendo il mercato? Ci sono fattori congiunturali e altri strutturali ben più preoccupanti per il settore.
Fattori di crisi del mercato
Non è un caso che il tracollo dei prezzi sia iniziato nel 2021, quando l’inflazione iniziava a divorare il potere di acquisto delle famiglie, spingendo le banche centrali dall’anno successivo ad alzare i tassi di interesse. E i diamanti soffrono anche la concorrenza dei sintetici. La tecnologia consente ormai da almeno un decennio di produrre in laboratorio pietre dall’aspetto del tutto equivalente a quello di un diamante estratto naturalmente, ma vendute a prezzi molto inferiori. Contrariamente alle iniziali aspettative, il mercato sta premiando queste produzioni, in quanto considerate più rispettose dell’ambiente e dei diritti sociali.
C’è anche una questione culturale che atterrisce la filiera. Le nuove generazioni sembrerebbero voler fare meno sfoggio della propria ricchezza e non intenderebbero investire il proprio denaro in preziosi. Il diamante era visto un tempo come status symbol ed è stato legato a lungo alla celebrazione di eventi come i matrimoni, che nell’Occidente sono in costante calo. Infine, parte della clientela si mostra scettica sulle reali valutazioni delle gemme preziose. Non è un mistero che le società minerarie le abbiano per decenni estratte per poi nasconderle in magazzino, così da tenere bassa l’offerta e sostenerne le quotazioni.
Diamante raro, ma non quanto pensiamo
In altre parole, il diamante è sì una pietra rara, ma non così rarissima come abbiamo creduto fino a non tanto tempo addietro. Per venire incontro ad alcune di queste criticità, De Beers ha annunciato nei mesi scorsi che cesserà la produzione di diamanti in laboratorio. E il suo controllante Anglo-American ha a sua volta reso nota l’intenzione di cedere le attività legate alle estrazioni di preziosi con una Ipo da 40 miliardi di dollari.