Campagna pubblicitaria nuova su diamanti
I giovani (americani, ma considerazioni simili valgono altrove) appaiono oggi, spiega lo studio, più indebitati, con minori possibilità di acquistare una casa o anche una macchina, figuriamoci se trovano il modo di investire in un diamante. A ciò si aggiungerebbe anche una loro preferenza maggiore delle generazioni passate per le vacanze o altri tipi di spesa legate all’edonismo. Infine, si consideri che la nuova generazione sembra attraversata da un senso più spiccato di uguaglianza, per cui in pochi si sognerebbero di indossare un gioiello per segnalare il loro status sociale elevato.
Sono considerazioni amare per l’industria dei diamanti, che non dispera e si pone semmai l’obiettivo di rendere appetibile l’acquisto delle pietre, puntando su un’immagine rinnovata e più in linea con i tempi. Ma serve, appunto, una
strategia mediatica diversa, mentre ha dimezzato negli anni Duemila il suo budget per le campagne pubblicitarie a circa 100 milioni di dollari all’anno. Più in generale, serve anche un diverso approccio al mercato, se è vero che il tentativo di trasferire i maggiori costi ai grossisti alle aste in India – paese, in cui viene tagliato il 90% dei diamanti al mondo – è finito con la minaccia di questi di disertare le vendite e un conseguente crollo dei prezzi. Insomma, né grossisti, né consumatori sembrano intenzionati ad acquistare diamanti a qualsiasi prezzo. Nel frattempo, De Beers, che resta leader del mercato mondiale, ha tenute le prime due delle dieci aste annuali di gemme preziose, incassando 540 milioni a gennaio e 610 milioni a febbraio. Alrosa insegue con 780 milioni complessivi delle prime due offerte.