Secondo intervista con Geraldine Haddad, tra i principali gemmologi italiani e membro della Borsa dei Diamanti di Milano. Stavolta, abbiamo parlato dei diamanti sintetici. Non tutti lo sanno, ma da qualche anno si sono affacciati al mercato e sembrano riscuotere un certo interesse. Si definiscono in gergo “lab grown”, perché come ci spiega l’esperta, sono coltivati in laboratorio. Nulla a che vedere con un diamante naturale, dal quale si distinguono per l’assenza di una storia, geologicamente parlando. Non provengono dalla crosta terrestre, ma per l’appunto da una fabbricazione “umana”.
‘Diamante come bene d’investimento, abbiate fiducia’
Come si capisce ad occhio nudo se un diamante sia sintetico o naturale? Diciamo subito che non è roba da inesperti. La Haddad ci spiega che esistono macchinari molto costosi impiegati allo scopo e che si mostrano capaci di segnalare se una pietra sia “dubbia”, il che non implica necessariamente che sia sintetica. Per i lotti di gemme cosiddette “melée” esisterebbe una maggiore facilità nell’individuare prontamente le differenze, mentre per quelle più grosse la difficoltà aumenta. All’occhio di un esperto, comunque, s’intuisce se un diamante sia sintetico, in quanto privo di inclusioni, nonché dal colore spento. E la gemmologa non ha mezze parole nel chiarire che trattasi di pietre senza alcuna vivacità, “smorte”. “Le pietre parlano, raccontano”, aggiungendo un concetto già espresso nel corso della prima intervista.
Chi compra diamanti sintetici e perché
Ma chi e perché compra diamanti sintetici? Il target è essenzialmente giovane. Trattasi di clienti con disponibilità economiche limitate e, soprattutto, con scarsa attenzione per la storia della pietra che acquistano. Per intenderci, spiega la Haddad, è il classico ragazzo che compie un regalo alla fidanzata, mentre molto più difficile che un uomo adulto compri un sintetico per la moglie. Non avrebbe senso. “Perché comprare una pietra senza valore e che tenderebbe a deprezzarsi nel tempo”?
Tecnologia per il mercato dei diamanti, ora più facile comprarli
Questa affermazione è assai interessante.
La risposta ai sintetici avverrà con sinergie crescenti lungo la filiera, tese a garantire l’autenticità e la provenienza dei diamanti. Ad oggi, le pietre più grosse vengono certificate in America, da istituti come la JIA; quelle minori perlopiù in Europa, come Belgio e Olanda. Dal fornitore grezzo all’intagliatore, dal grossista fino al negoziante, solo un assoluto rigore sul fronte delle certificazioni aumenterà l’appeal dei diamanti naturali, offrendo al cliente la massima sicurezza sul prodotto acquistato.
Diamanti sintetici come risposta agli Swarovski?
Sì, il tema etico starebbe giocando un ruolo nella nascita e nello sviluppo dei diamanti sintetici, ma alla domanda se i diamanti naturali non rischino di fare la fine delle pellicce, la risposta è netta: “assolutamente, no”. Anzi, Haddad vede un futuro molto positivo per il settore, perché “così come la famiglia resta la famiglia, il diamante resta il diamante.
Mercato diamanti in ripresa grazie ai giovani
Ma l’intervista diventa ancora più interessante, anzi illuminante, quando Haddad racconta quello che ritiene essere stato il vero motivo del lancio sul mercato dei diamanti sintetici da parte della stessa industria: contrastare la forza delle pietre Swarovski. Già, perché sono temibili concorrenti dei diamanti (naturali), accomunati da una forte somiglianza, ma al contempo costano molto meno, trattandosi di cristalli. Insomma, i sintetici sarebbero stati la risposta agli Swarovski per evitare che una fetta di clientela si rivolgesse altrove. Una spiegazione assai interessante di un fenomeno, che molti tendono a collegare frettolosamente alle presunte preferenze “eco-sostenibili” di parte crescente del mercato.