Greta Thunberg è diventato l’ultimo simbolo di un’opinione pubblica mondiale affamata di bontà. La ragazzina svedese con le trecce bionde di soli 16 anni ha attirato l’attenzione planetaria con il suo cartello “Sciopero scolastico per il clima”, con cui ogni venerdì presidia il Riksdag a Stoccolma, la sede del Parlamento nazionale. Fino alle scorse elezioni di settembre, Greta saltava le lezioni a scuola tutti i venerdì, ma per lo scopo nobile di invitare la politica a fare di più per combattere i cambiamenti climatici.
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La ragazzina, che dalla nascita ha la sindrome di Asperger, da 8 anni coinvolge la famiglia nel suo progetto di sensibilizzazione sul rispetto dell’ambiente. Tanto di cappello per la lodevole passione di Greta, non certo per le attenzioni morbose e interessate di stampa, politici e opinion leader veri e presunti che si sono tuffati nell’affare mediatico per farci capire quanto saremmo insensibili ed egoisti noi abitanti della Terra, specie della sua parte più ricca. La sedicenne è stata assurta, forse suo malgrado, a paladina di un ambientalismo da salotto, che propina da decenni facili soluzioni, salvo scontrarsi con le esigenze pratiche della modernità a ogni appuntamento. Come con l’Accordo di Parigi, che nel dicembre del 2015 gettò apparentemente le basi per rimediare al riscaldamento globale, salvo essere stato ucciso in culla non solo dal ritiro dell’America con l’elezione di Donald Trump, bensì pure dai costi spaventosamente alti che la sua implementazione comporterebbe a carico delle principali economie e che ne frenerebbero i tassi di crescita, almeno nel breve e medio periodo.
L’ambientalismo ipocrita dell’Occidente
L’ambientalismo sterile che cerca di sfruttare l’immagine di Greta fallisce puntualmente qui, nel suo non essere capace di coniugare crescita e rispetto della Terra. I governi lo lisciano ipocritamente, così come gran parte delle opinioni pubbliche nazionali, le quali ostentano adesioni di principio a modelli comportamentali che non fanno mai propri. L’esempio più lampante e a noi vicino del flop di certo ambientalismo si ha con il Movimento 5 Stelle, quello della “decrescita felice”, nato proprio sui temi della salvaguardia dell’ambiente, oltre che della lotta alla corruzione. Una volta arrivato al governo, su tutto sta puntando, tranne che sul decrescere, almeno non volontariamente. E i suoi stessi avversari ecologisti in patria e fuori dall’Italia ne fanno drammi epocali per un decimale di punto in meno di crescita dei consumi e della produzione, nonostante da decenni strombazzino a destra e a manca che il nostro modello economico sarebbe sbagliato e che staremmo meglio se consumassimo di meno e riponessimo maggiore attenzione alla “qualità” della vita.
Greta Thunberg rischia di diventare, purtroppo, il simbolo dell’ipocrisia occidentale di chi le sta dietro sul piano mediatico. Gli ambienti politicamente progressisti vorrebbero propinarci un’economia più responsabile sull’utilizzo delle risorse terrestri, ma allo stesso tempo sono gli stessi che più di altri ambiscono alla crescita, puntando alla redistribuzione della ricchezza. Delle due l’una: o pretendono che la crescita sia infinita o accettano nei fatti che l’economia rallenti o finanche ristagni strutturalmente per difendere l’ambiente, salvo non lamentare successivamente la penuria di risorse da redistribuire in favore delle classi sociali che intendono rappresentare.
La ricchezza si crea “sporcando” e questo, ahi noi, appare assodato. Tuttavia, non significa arrendersi all’inquinamento illimitato, perché la stessa storia insegna che proprio le economie più avanzate, grazie al progresso tecnologico riescono a ridurre le emissioni inquinanti.
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Le stesse lobbies si concentrano su Nord America ed Europa, ma dimenticano, ad esempio, che la Cina emette CO2 in quantità pro-capite pari a oltre 3 e 4 volte rispettivamente di USA e UE, tenendo conto della ricchezza. E quando si appellano ai governi delle economie avanzate, affinché non attendano che le emergenti facciano (del tutto) la loro parte per iniziare a disinquinare, sostanzialmente è come se chiedessero loro di sacrificare la crescita, a beneficio dei grandi inquinatori della Terra. Peccato che non abbiano lo stesso coraggio di farlo a viso aperto, trincerandosi dietro a dibattiti più accademici che pratici e truffando centinaia di milioni di persone, alle quali vorrebbero far credere che l’insensibilità delle classi dirigenti verso l’ambiente sia dettata dalla difesa di interessi particolari; il che è parzialmente vero, ma coincidono grosso modo con gli interessi economici degli stati, se non continenti, ossia di consumatori, imprese e lavoratori.
E così, Greta scalderà pure i cuori, ma nel frattempo l'”ecologista” Germania riesuma le estrazioni di carbone nella Ruhr, in nome della differenziazione delle fonti di approvvigionamento energetico, e resiste alle sentenze dei tribunali tedeschi stessi in favore del divieto di circolazione delle auto con motore diesel, nell’estremo tentativo di difendere un interesse nazionale. L’importante è additare un nemico esterno sull’ambiente, che di volta in volta assume nomi diversi, da ultimo Trump.
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