Dimissioni per fatti concludenti: come calcolare i 15 giorni di assenza

L’assenza ingiustificata prolungata può tradursi in dimissioni implicite: ecco cosa prevede la legge e come agire.
4 giorni fa
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Foto © Pixabay

Nel panorama delle cessazioni del rapporto di lavoro, esiste una modalità (e una novità) peculiare che si distingue per la sua natura implicita: le dimissioni per fatti concludenti.

Questo istituto, pur non basandosi su una formale comunicazione scritta da parte del lavoratore, produce effetti giuridici rilevanti, consentendo al datore di lavoro di considerare risolto il contratto a fronte di comportamenti concludenti, in primis l’assenza prolungata e non giustificata.

Quando si attiva la presunzione di dimissioni (per fatti concludenti)

Secondo quanto disposto dall’articolo 26, comma 7-bis del Decreto Legislativo n. 151/2011 (come da ultimo modificato), un lavoratore che non si presenta sul luogo di lavoro senza fornire una giustificazione per un periodo continuativo di almeno 15 giorni di calendario può essere considerato, di fatto, dimissionario.

Trascorso tale lasso temporale, il datore di lavoro è autorizzato ad avviare le procedure previste per la cessazione del rapporto.

È importante sottolineare che i 15 giorni devono essere calcolati sul calendario, includendo quindi anche le festività e i giorni normalmente non lavorativi, a meno che il contratto collettivo applicabile non disponga diversamente. Questo chiarimento è stato fornito dal Ministero del Lavoro tramite la circolare n. 6 del 27 marzo 2025, che ha offerto una lettura univoca sulla decorrenza del termine minimo.

Rilevanza del contratto collettivo nazionale

Il limite dei 15 giorni, pur rappresentando la soglia legale di riferimento, non è immutabile. I Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) possono infatti introdurre disposizioni differenti, tanto più restrittive quanto più favorevoli per il lavoratore. È pertanto essenziale verificare, caso per caso, le previsioni contrattuali specifiche applicabili al singolo rapporto.

Alcuni CCNL prevedono termini più lunghi o introducono ulteriori passaggi procedurali prima di poter considerare legittimamente interrotto il rapporto lavorativo per fatti concludenti.

In assenza di tali previsioni, trova piena applicazione la disciplina generale del decreto legislativo.

Gli adempimenti del datore di lavoro

Una volta accertata l’assenza ingiustificata protratta oltre il termine minimo previsto, il datore di lavoro ha l’onere di attivarsi secondo una sequenza ben precisa. In particolare, in merito a cosa deve fare il datore di lavoro in caso di dimissioni per fatti concludenti:

  • Comunicazione preliminare: È buona prassi, e in alcuni casi obbligo contrattuale, inviare al lavoratore una richiesta formale di chiarimenti circa le motivazioni dell’assenza.
  • Decorrenza del termine: Solo una volta trascorso integralmente il periodo previsto (15 giorni o quello specificato dal CCNL), è possibile avviare la procedura di cessazione per fatti concludenti.
  • Formalizzazione della cessazione: L’azienda deve procedere con la comunicazione agli enti preposti (INPS, Centro per l’Impiego), indicando come causa della cessazione la risoluzione per comportamenti inequivocabili, nonostante l’assenza di una manifestazione espressa di volontà da parte del lavoratore.

Questo iter ha l’obiettivo di evitare abusi e garantire un margine di difesa anche al lavoratore che, per ragioni gravi e documentabili, non abbia potuto comunicare tempestivamente la propria indisponibilità.

Dimissioni fatti concludenti: i 15 giorni nei contratti a termine e periodo di prova

Nel contesto dei contratti a tempo determinato, inclusi quelli con durata superiore ai 12 mesi, assume rilievo un altro tema centrale: la determinazione della durata del periodo di prova.

Il riferimento normativo in questo caso è l’articolo 7 del Decreto Legislativo n. 104/2022, che stabilisce un criterio proporzionale per la durata del periodo di prova. Il parametro di riferimento è di un giorno lavorativo effettivo ogni 15 giorni di calendario. Ciò significa che, ad esempio, un contratto di 18 mesi potrebbe prevedere un periodo di prova significativamente più lungo rispetto a uno di breve durata, sempre che non intervengano disposizioni più favorevoli introdotte dal CCNL.

L’interpretazione ministeriale a tutela del lavoratore

La circolare n. 6/2025 del Ministero del Lavoro interviene anche su questo punto, specificando che, laddove il contratto collettivo preveda una durata del periodo di prova inferiore rispetto a quella calcolata secondo la regola generale, questa deve essere considerata prevalente in quanto più favorevole al lavoratore.

La logica sottesa è quella della tutela del lavoratore, in linea con i principi del diritto del lavoro che privilegiano interpretazioni estensive delle norme di maggior garanzia. Una durata inferiore del periodo di prova comporta, infatti, una più rapida stabilizzazione del rapporto, con conseguente incremento delle tutele in caso di licenziamento.

Riflessioni conclusive sulle dimissioni per fatti concludenti

Il meccanismo delle dimissioni per fatti concludenti rappresenta un dispositivo normativo che consente di tutelare l’organizzazione aziendale di fronte a condotte del lavoratore caratterizzate da inattività ingiustificata e protratta. Tuttavia, l’applicazione della norma richiede estrema attenzione al rispetto delle tempistiche, alla corretta comunicazione e alla coerenza con le previsioni contrattuali.

Allo stesso modo, la gestione del periodo di prova nei contratti a termine impone una valutazione attenta della normativa vigente e delle disposizioni collettive, affinché i diritti del lavoratore non vengano compressi oltre quanto legittimamente consentito.

In definitiva, la gestione delle dimissioni per fatti concludenti e dei periodi di prova nei rapporti a termine costituisce un ambito di grande sensibilità per le risorse umane e i consulenti del lavoro, in cui diritto, prassi e contrattazione collettiva devono dialogare in modo armonico per evitare contenziosi e garantire equità nei rapporti professionali.

Riassumendo

  • Le dimissioni per fatti concludenti scattano dopo 15 giorni di assenza ingiustificata.
  • Il termine include festivi, salvo diversa previsione del contratto collettivo applicabile.
  • Il datore deve inviare richiesta di chiarimenti prima di avviare la cessazione.
  • La cessazione va comunicata agli enti competenti secondo la normativa vigente.
  • Il periodo di prova nei contratti a termine è proporzionale alla durata del contratto.
  • Il CCNL prevale se stabilisce condizioni più favorevoli per il lavoratore.

Pasquale Pirone

Dottore Commercialista abilitato approda nel 2020 nella redazione di InvestireOggi.it, per la sezione Fisco. E’ giornalista iscritto all’ODG della Campania.
In qualità di redattore coltiva, grazie allo studio e al continuo aggiornamento, la sua passione per la materia fiscale e la scrittura facendone la sua principale attività lavorativa.
Dottore Commercialista abilitato e Consulente per privati e aziende in campo fiscale, ha curato per anni approfondimenti e articoli sulle tematiche fiscali per riviste specializzate del settore.

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