Qualche giorno fa, il filosofo Massimo Cacciari si augurava in una trasmissione televisiva che anche i “dipendenti dello stato e del parastato” paghino quanto prima questa crisi, sostenendo che sia inconcepibile che il costo della pandemia ricada solo su metà della popolazione. E se a dirlo è un intellettuale di sinistra, pur “sui generis”, dovremmo porre a tali dichiarazioni un’attenzione non marginale. In Italia, i dipendenti pubblici sono circa 3,2 milioni, mentre il settore privato si compone di 20 milioni di unità ufficiali, tra dipendenti, imprenditori, lavoratori autonomi, liberi professionisti e parasubordinati di varia natura.
Di fatto, i primi vengono mantenuti dai secondi, perché è lapalissiano che gli stipendi pubblici siano pagati attingendo al gettito fiscale alimentato proprio dalle imposte versate dal settore privato. Non che i dipendenti pubblici non paghino le tasse. Anzi, in queste settimane in cui iniziano ad essere messi nel mirino dell’opinione pubblica, si difendono facendo notare che lorsignori non possano evadere neppure un euro, che siano gli unici a pagare le tasse sull’intero stipendio. Dimenticano di aggiungere un dato saliente: le tasse che versano sono una semplice partita di giro per lo stato.
Ora, l’emergenza Covid ha accentuato le italiche fratture e disuguaglianze tra i soliti figli e figliastri. C’è una parte del Paese a cui viene chiesto, pur giustamente, di compiere sacrifici nel nome del diritto alla salute, bene universale tutelato dalla Costituzione. E vai di chiusura delle attività, di cassa integrazione forzata, di ristori promessi e mai arrivati e quand’anche erogati, spesso a copertura parziale delle perdite subite. Poi, c’è un’altra Italia, quella che perlopiù invoca il “restate a casa” e che da questa emergenza ne esce da vera vincitrice. E’ composta da milioni di dipendenti pubblici, molti dei quali con il Covid stanno lavorando meno o poco o nulla sin da marzo, continuando a percepire lo stesso stipendio di sempre.
Quante ore devi lavorare da casa: smart working minimo per dipendenti pubblici e privati
Pubblica Amministrazione esente dai sacrifici
Non tutti i dipendenti pubblici sono uguali e mai ci permetteremmo di dipingerli come una casta di fannulloni o di lavoratori fantozziani. Medici e infermieri sono entrati nei cuori di tutti noi per l’estremo sacrificio a cui spesso, ingiustamente, sono stati costretti. Gli insegnanti hanno continuato a lavorare da remoto e con grosse difficoltà, perché educare da un PC è cosa assai diversa che farlo attraverso la vicinanza fisica. Le forze dell’ordine sono state chiamate a far osservare restrizioni di ogni tipo e il loro operato può essere giudicato molto positivamente. Altre categorie hanno continuato certamente a lavorare come prima, forse anche tra maggiori difficoltà per via di un’organizzazione improvvisata degli uffici pubblici.
Ma è innegabile che qualche milione di dipendenti dello stato nelle sue varie ramificazioni non abbia lavorato e né potuto lavorare come prima. Parliamo di quella burocrazia che in molti casi vive di contatto con l’utenza, venuto meno per le regole anti-Covid. Da marzo lavorerebbe in smart working, ma i risultati parlano chiaro: le pratiche non vengono espletate, forse non ci sono neppure le condizioni affinché lo siano. Si finge che la macchina della Pubblica Amministrazione proceda come sempre, ma se prima andava lenta, adesso è ferma da otto mesi. I suoi addetti non hanno responsabilità per questo, ma sta di fatto che lo stipendio sul conto viene loro versato integralmente ogni mese e che siano l’unica parte dell’Italia a non patire alcuna sofferenza da questa crisi storica. Anzi, a parità di stipendio lavorano meno e possono risparmiare di più.
Non si tratta di punire questa categoria, bensì di lenire i sacrifici a carico del solito settore privato.