Quando il lavoratore può far valere il diritto allo studio?
Ci scrive M. L.
“Sono stato assunto come magazziniere da una Cooperativa di servizi dal mese di settembre 2017 con contratto a tempo determinato per 2 anni. Al rientro al lavoro dopo le feste natalizie, ho chiesto al mio capo reparto di poter effettuare il mio turno di lavoro la mattina o nel primo pomeriggio, causa la mia iscrizione scolastica ai corsi serali da circa 5 mesi, per l’ottenimento del diploma superiore. La sua risposta è stata negativa, quindi sono stato costretto a dare le dimissioni volontarie per giusta causa, dal momento che voglio prendere il diploma, anche perché c’è una legge ” Diritto allo studio ” che tutela quanti vogliono studiare. La ringrazio anticipatamente per la sua risposta, buona giornata“.
Abbiamo scelto di pubblicare il quesito emblematico posto da questo lettore perché sul tema del diritto allo studio la disinformazione, sebbene si tratti di un argomento attuale e importante, è molta. Non tutti i lavoratori studenti sono consapevoli dei propri diritti.
Diritto allo studio: per quali contratti vale
Purtroppo nel caso del lettore che ci ha scritto abbiamo dovuto negare il diritto allo studio. La legge 300/70 dello Statuto dei Lavoratori infatti sul punto è chiara: questa misura vale solo per i contratti a tempo indeterminato (anche se part time). Restano esclusi quindi lavoratori con contratto a tempo determinato, a progetto o i titolari di partita IVA (diverso è invece il diritto ad assentarsi nel giorno in cui è previsto un esame). Possono chiedere il permesso studio anche gli studenti fuori corso. Molti ci chiedono quanti giorni di permesso sono previsti dal diritto allo studio ma la verità è che non c’è una risposta valida per tutti perché le previsioni variano in base al tipo di contratto collettivo di appartenenza. In linea generale la normativa riconosce un tetto massimo di ore-permesso massimo fissato a 150 (se però il lavoratore deve conseguire un titolo in una scuola dell’obbligo il permesso di studio può salire fino a 250 ore annuali).
Dimissioni per studiare: ho diritto alla Naspi?
Chiudiamo l’analisi con la seconda parte del quesito in analisi: spetta la Naspi a chi si dimette dopo essersi visto negare il diritto allo studio? E’ il caso del nostro lettore appunto che, non avendo contratto a tempo indeterminato, non poteva richiedere il permesso per diritto allo studio. Purtroppo dobbiamo smentire anche il diritto alla Naspi perché questo sussidio interviene in caso di licenziamento involontario e non anche di dimissioni.
Visti gli sforzi del governo per incentivare la conciliazione vita privata-lavoro sarebbe forse opportuno anche ampliare la categoria dei lavoratori aventi diritto allo studio in modo da sensibilizzare sull’importanza della formazione personale. Per ulteriori informazioni sul diritto allo studio non esitare a scrivere alla redazione di Investire Oggi: [email protected], l’autrice di questo articolo sarà felice di risponderti.