I consumatori europei avranno maggiori tutele. Questa settimana, prima dello scioglimento in vista delle prossime elezioni a giugno, l’Europarlamento ha votato un testo sul cosiddetto “diritto alla riparazione”. I voti a favore sono stati 584, i contrari appena 3 e gli astenuti 14. Servirà il via libera del Consiglio europeo, cioè dei ventisette capi di stato e di governo dell’Unione Europea. Dopodiché, la norma sarà pubblicata in Gazzetta Ufficiale. Gli stati nazionali avranno fino a due anni di tempo per recepirla.
Diritto alla riparazione, in cosa consiste
Cosa prevede il testo sul diritto alla riparazione e da quale esigenza nasce? Ogni anno, stima Bruxelles, i consumatori europei spendono 12 miliardi di euro per acquistare prodotti che potrebbero essere semplicemente riparati. Queste mancate riparazioni originano 261 milioni di tonnellate di CO2 e 35 milioni di tonnellate di rifiuti ogni anno. In sostanza, aumentano l’inquinamento e pesano sulle tasche dei cittadini.
Perché molti consumatori preferiscono o quasi sono obbligati a comprare un prodotto nuovo, anziché cercare di ripararlo? La risposta sta nei costi. Sono spessissimo così elevati da far sì che la riparazione non abbia alcun senso dal punto di vista economico. Quante volte ci sarà capitato di buttare un televisore o un frigorifero ancora potenzialmente funzionanti per anni, dato che per riparare un pezzo ci hanno chiesto cifre spropositate?
Prezzi ragionevoli per riparare un prodotto
Con il diritto alla riparazione non dovrebbe più tendenzialmente accadere. Esso consiste nell’obbligo imposto alle società produttrici di fissare “prezzi ragionevoli” per le riparazioni successivamente alla scadenza della garanzia di 24 mesi. Qualora la loro indicazione esatta risultasse impossibile, il riferimento sarebbe ai “prezzi massimi”. E non potranno esimersi dal riparare, neanche nel caso in cui il prodotto sia stato già riparato da terzi con la sostituzione di pezzi non originali o la loro stampa in 3D.
Le critiche non mancano. Un centinaio di organizzazioni provenienti da ventuno stati comunitari, sostenitrici dell’iniziativa legislativa, ha espresso soddisfazione per il passo in avanti compiuto dalle istituzioni comunitarie. Tuttavia, questi lamentano che il diritto alla riparazione potrebbe essere bypassato facilmente dalle aziende costruttrici. L’espressione “prezzi ragionevoli” appare vaga e aggirabile adducendo problemi tecnici o contrattuali.
Lotta a obsolescenza programmata
Oltretutto, già per gli elettrodomestici esiste una disciplina che impone ai costruttori di renderli “riparabili” per almeno cinque anni. A conti fatti, la norma votata dall’Europarlamento riguarderà i soli dispositivi elettronici. E vedremo che i diritti dei consumatori sarebbero solo una parte delle reali intenzioni del legislatore. La lotta contro l’obsolescenza programmata si arricchisce di un nuovo capitolo, sebbene gli effetti non è detto che vadano nella direzione auspicata da noi tutti.
Con questa espressione da anni s’intende la costruzione di prodotti con l’intenzione di farli durare fino a un tempo massimo prestabilito, sebbene le conoscenze tecnico-produttive consentirebbero una vita più lunga. Un esempio: un telefonino che smette di funzionare dopo soli tre anni, quando la casa costruttrice avrebbe modo, se volesse, di produrlo con una durata massima di cinque o sei anni. Perché avviene? Banalmente per vendere di più. Ma non è l’unica spiegazione. Costruire prodotti che durano più a lungo implica l’impiego di input più costosi e, quindi, la fissazione di prezzi di mercato più alti.
Rischio di prezzi di acquisto più alti
Se oggi disponiamo della massima tecnologia in tutte le case, è grazie al fatto che essa sia diventata alla portata di ogni tasca. Piaccia o meno, l’obsolescenza programmata ha contribuito ad abbassare i costi.
Una vittima illustre: Apple
Non aspettiamoci, dunque, che dall’oggi al domani divenga improvvisamente conveniente riparare. Al contrario, i prezzi di acquisto rischiano di salire, rendendo meno accessibili ai consumatori diversi prodotti di largo consumo. Ciò non significa che il diritto alla riparazione sia una norma del tutto inutile. Essa serve a responsabilizzare i produttori per indurli verso un’economia circolare maggiormente sostenibile sul piano ambientale. Resta da vedere, per quanto sopra accennato, se ciò si traduca in un vantaggio netto percettibile dai consumatori.
E il diritto alla riparazione ha già una vittima illustre: Apple. Il colosso americano, produttore tra l’altro degli iPhone, non consente la sostituzione/riparazione di componenti da parte di terzi. A parte l’annullamento della garanzia, il software rischia di non riconoscere tali componenti, rendendo il dispositivo inutilizzabile. In un certo senso, questo meccanismo “chiuso” crea una monopolizzazione dei servizi annessi. Bruxelles vuole picconare questo “modus operandi”, al fine di aprire la Silicon Valley ad una maggiore concorrenza nel territorio dell’Unione Europea.
Diritto alla riparazione, vantaggi per consumatori non chiari
Anche in questo caso, tuttavia, il giubilo rischia di essere frettoloso. Concorrenti europei degni di nota ai colossi made in USA nel campo dell’elettronica di consumo e dell’informatica non ve ne sono. Il diritto alla riparazione non servirà granché a sostenere le produzioni locali. Infine, un’analisi obiettiva sui costi per riparare/sostituire un componente.