Non passa estate senza polemiche sugli eccessi di zelo di qualche ristoratore, albergatore o stabilimento balneare. E nel mese di agosto, quasi sul finire, si è guadagnato le prime pagine dei quotidiani e dei siti d’informazione online il “diritto di torta” di Arezzo. Una famiglia festeggia un evento e si presentano in tredici per una cena. Portano una torta acquistata in pasticceria e chiedono al ristoratore se possono consumarla a fine banchetto, ottenendo una risposta affermativa. A fine serata, l’amaro in bocca: 58,50 euro, che fanno 4,50 euro a testa.
Cos’è diritto di torta e tappo
La notizia ha fatto il giro del web e subito si è aperto il dibattito: è giusto fare pagare al cliente il taglio della torta? E quanto dovrebbe costare? Vediamo se esistono leggi al riguardo ed eventualmente cosa dicono. Le normative in materia di Haccp, cioè relative alle procedure per la salubrità degli alimenti, affrontano il cosiddetto “diritto di torta” e il “diritto di tappo”. Si tratta del servizio offerto dal ristoratore al cliente per taglio e impiattamento di un dolce portato da fuori per consentirne la consumazione presso il suo locale. Nel secondo caso, il servizio riguarda l’apertura e il versamento di una bottiglia di alcolici, sempre portata dall’esterno.
Non esiste alcun obbligo in capo al ristoratore. Esso può legittimamente rifiutarsi di servire cibi e bevande non propri. Ed è naturale che gli venga consentito tale rifiuto: il servizio avverrebbe a discapito dei propri prodotti. Tuttavia, nella generalità dei casi i ristoratori consentono al cliente di portare qualcosa da fuori, anche se in concorrenza alla propria offerta. Lo fa per aumentare le probabilità di organizzare eventi, in sostanza per accrescere le proprie stesse vendite. Tu festeggi il compleanno da noi e ti diamo la possibilità di portare la torta o lo spumante da fuori.
Munirsi di scontrino
Attenzione, perché il diritto di torta e di tappo può avvenire dietro il rispetto di precise condizioni. Il ristoratore deve pretendere dal cliente lo scontrino attestante l’acquisto esterno. Ciò è dovuto per sgravarsi della responsabilità derivante dalla consumazione. Ad esempio, immaginate che un dolce contenga un ingrediente a cui uno degli avventori è allergico. Questi può giustamente chiedere conto al ristoratore di quanto gli è stato servito, ma in presenza dello scontrino la responsabilità non sarebbe più propria. E lo stesso dicasi per le bevande.
Dunque, possibile portare un dolce o un liquore fatti in casa? Le regole lo vieterebbero. In assenza di scontrino, infatti, la responsabilità per eventuali conseguenze derivanti dalla consumazione ricadrebbero sul ristoratore. In qualche caso, comunque, questi accetta ugualmente di offrire il servizio, ma facendo firmare al cliente una liberatoria con cui scarica le proprie responsabilità.
Il prezzo è giusto?
Altra questione attiene al costo del diritto di torta e tappo. Quale sarebbe quello equo? Non esistono norme a tale riguardo. E’ evidente che il legislatore non possa imporre un tariffario per un servizio privato, tra l’altro non certo di prima necessità. Il ristoratore di Arezzo, fisicamente non presente nella serata incriminata, ha ammesso che il costo caricato sullo scontrino sarebbe stato “eccessivo”. Di fatto, con 4,50 euro a testa ci si compra quasi il dolce. Sostenere che questo sia il costo sostenuto tra lavoro e posate, appare grossolano. In media, comunque, si va dai 2,50 ai 5 euro a persona. Tenete conto che nel caso di Arezzo non era stato richiesto il coperto sulle tredici consumazioni.
Diritto di torta, occhio a pubblicità negativa
D’altra parte, il diritto di torta non implica che il cliente possa ottenere il servizio a basso costo o senza spese, né che sia sgravato dal dovere di informarsi tempestivamente sulla loro entità.