Tra tredici mesi si terranno negli Stati Uniti le elezioni presidenziali. Se si votasse oggi, Joe Biden non resterebbe certamente alla Casa Bianca. Il popolo americano avrà i suoi motivi per negargli un secondo mandato, noi europei ne abbiamo certamente di più per sperare che gli venga negato. E’ proprio l’economia europea a pagare il prezzo più alto per i disastri commessi dall’attuale amministrazione di Washington in politica estera. Nell’immaginario collettivo, fu forse la fuga dei militari americani e il ritorno al potere dei talebani in Afghanistan nel Ferragosto del 2021 a dare la prima impressione negativa sull’operato di Biden.
Persa Arabia Saudita per abbracciare Iran
Fu solo l’inizio di una serie di errori commessi l’uno dietro l’altro e che alla fine hanno tutti punito l’economia europea più di ogni altra parte del mondo. L’amministrazione Biden ha subito reciso i rapporti con lo storico alleato dell’Arabia Saudita. Viceversa, ha preferito portare avanti una politica di riavvicinamento all’Iran, nonostante fosse accertato che dopo l’accordo sul nucleare siglato con gli Stati Uniti di Barack Obama a fine 2015, Teheran abbia sfruttato la relativa libertà di arricchire l’uranio per costruire armi. E adesso vi sarebbe a un passo.
Questo clima di appeasement verso l’ayatollah Khamenei non ha certamente aiutato la causa dei diritti umani in Medio Oriente. Basti pensare al caso Amini e alla conseguente brutale repressione delle proteste di piazza. Ha avuto, invece, altri effetti. Uno è stato di avere consentito alla Repubblica Islamica di esportare petrolio in barba alle sanzioni, incassando preziosi dollari non certamente destinati ad accrescere il benessere della popolazione. Verosimilmente, sono andati a finire nella difesa e nel mantenimento della rete di sostegno internazionale, che passa principalmente per gli Hezbollah in Libano e il regime siriano.
Effetto collaterale indiretto è stato l’indisposizione crescente dei sauditi. Il principe Mohammed bin Salman ha iniziato ad usare il petrolio come leva per sanzionare gli Stati Uniti di Biden e i suoi alleati. Tagli crescenti all’offerta e cartello con la Russia hanno spinto di recente le quotazioni fino a 100 dollari al barile, pur in una congiuntura internazionale che non giustifica di certo un simile mercato. L’economia europea, priva di materie prime, ne sta pagando il costo.
Pasticci su materie prime
Anche in Sud America Biden si sta comportando senza alcun raziocinio. Dopo essersi felicitato della vittoria di Lula in Brasile, salvo apprendere un attimo dopo che fosse filo-putiniano e anti-occidentale, non ha trovato di meglio che tentare un riallacciamento delle relazioni con il Venezuela di Nicolas Maduro. In teoria, servirebbe a contenere lo strapotere dell’OPEC, consentendogli di rimettere in moto la sua decaduta industria petrolifera. Nei fatti, già dal suo insediamento non si contano i cargo che fanno la spola tra Sud America e Asia e che vedono proprio l’Iran essere ormai principale esportatore di greggio verso Caracas, dal quale lo riceve successivamente raffinato.
In pratica, l’amministrazione Biden ha fatto il gioco dei suoi nemici, che si ritrova oggi compatti contro Israele e l’Occidente. In cambio, ha perso per strada gli amici, che ha gettato tra le braccia di Russia e Cina. A rimetterci le penne è stata l’economia europea, dicevamo. In tutto questo marasma, abbiamo ottenuto che il petrolio ci costa più della media degli anni passati, così come il gas per via dell’interruzione delle importazioni dalla Russia.
Economia europea risente dei disastri di Biden
Nessuno si aspetterebbe da alcun governo americano che metta prima o alla pari l’interesse dell’economia europea rispetto agli Stati Uniti. Ma non c’era mai stato, almeno nella storia recente, un’amministrazione così incapace di avere un’idea complessiva dell’ordine mondiale. Neppure sulla Tunisia Biden è riuscito a trovare una soluzione, con la conseguenza che a poche centinaia di chilometri dalle nostre coste vi è un’economia sull’orlo del default e che sta già usando l’arma degli sbarchi per mettere sotto scacco l’Europa.
L’apertura di numerosi fronti di conflitto rischia seriamente di indebolire la posizione occidentale su ognuno di essi. Ci sono anche Taiwan, Ucraina, Israele e su nessuno esiste una qualche soluzione alla portata. Le tensioni montano, gli investitori prendono nota e l’economia europea ne risente per il venir meno dei presupposti su cui va avanti, cioè mercati aperti e materie prime non troppo costose.