Avevano la maggioranza assoluta dei consensi nel Bel Paese, mentre ieri si sono ritrovati ad ottenere, se sommati, il 19%. Ma la somma adesso appare impossibile, visto che la Lega di Matteo Salvini e il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte stanno l’uno in maggioranza e l’altro all’opposizione. Non era così alle scorse elezioni europee, quelle stravinte dal “capitano” con il 34,3%, percentuale esattamente doppia a quella riportata dall’alleato del governo “giallo-verde”. I rapporti di forza ne uscirono ribaltati e fu l’inizio del declino per entrambi.
Numeri del disastro targato Conte e Salvini
I numeri di ieri decretano impietosamente il flop dei due ex alleati. Sono passati da un totale di 13,8 milioni di voti ad appena 4,4 milioni scarsi. Un tracollo di quasi 9 milioni e mezzo, anche se il calo dell’affluenza di circa sette punti percentuali ha contribuito negativamente. In termini percentuali, parliamo del -32%. Cifre spaventose, che confermano la caduta di Salvini da una parte e Conte dall’altra come leader dei due rispettivi campi.
Governo giallo-verde senza programma
A cosa si deve questa implosione? I due potranno consolarsi notando che Matteo Renzi, che alle europee del 2014 aveva ottenuto il 40,8%, ieri non è riuscito neanche a superare lo sbarramento del 4% alleandosi con Emma Bonino. Si disse allora che il suo corso sarebbe durato un ventennio, mentre durò una ventina di mesi. Piccolezze. Il punto è capire cosa abbia provocato la caduta verticale insita nei numeri di cui sopra. Tra reddito di cittadinanza e Quota 100, grillini e leghisti pensavano e speravano di avere ipotecato i consensi rispettivamente a Sud e Nord dell’Italia. E fu così per un periodo di tempo.
Ma il governo giallo-verde non nacque sulla base di un programma razionale. Fu la sommatoria dei desideri dei due contraenti, una lunga lista della spesa incoerente e insostenibile per i nostri conti pubblici. I grillini proseguirono su questa strada anche quando si ritrovarono a gestire la pandemia insieme ai nuovi alleati del PD. Mentre il Pil italiano collassava sotto i colpi di lockdown draconiani, lo stato spendeva a piene mani, spesso senza alcun criterio che non fosse l’assistenzialismo puro e il clientelismo selvaggio. I bonus si moltiplicarono come pesci dopo il miracolo biblico. E il Superbonus fu l’apoteosi della devastazione dei conti pubblici, coperta mediaticamente dai suoi presunti frutti superiori ai costi.
Lista della spesa non ha più appeal
Da oltre un anno e mezzo la Lega è nel governo di centro-destra dopo esserlo stata anche con Draghi. Tuttavia, ha perso lo smalto degli anni passati e la leadership della coalizione è oggi saldamente nelle mani della premier Giorgia Meloni. Continua a dedicare grosse attenzioni alle misure di pensionamento anticipato, ma non capisce che le priorità avvertite dagli italiani siano altre in questa fase. Soprattutto, insieme agli ex alleati grillini segnala di tenere in scarsa considerazione la stabilità fiscale. Un male per un Paese con il debito pubblico quasi al 140% del Pil.
Gli italiani si stanno rivelando più avveduti di quanto non vengano considerati. Capiscono che la lista della spesa non va bene, che stuzzicare gli appetiti di certe fasce della popolazione a discapito dei contribuenti non sia saggio. Pur severi con questa Europa, chiedono che la loro voce e le loro istanze contino. La critica senza costrutto non è vista positivamente, specie dopo i fatti del 2019. Salvini stravinse, gli elettori gli affidarono un grosso mandato ed egli lo dissipò totalmente estraniandosi dai meccanismi politici a Bruxelles per conservare intatta la genuinità dei comizi nei lidi estivi.
Salvini e Conte, abbracciati nella caduta
I grillini votarono per entrare nella maggioranza Ursula, in pandemia ottennero 200 miliardi di euro con il Pnrr, ma non seppero approfittarne per impostare alcuna strategia per rilanciare la crescita economica. Fu necessario il cambio di governo a inizio 2021 per trasformare in programma credibile quella che era stata intesa dal Conte-bis come una lunga lista dei desideri. Il resto è quasi cronaca. Due partiti ostaggio dei rispettivi slogan. L’ex premier ancora crede che basti invocare il reddito di cittadinanza nei mercati rionali del Sud per acchiappare voti. Salvini spara a zero sulla Commissione europea, quasi non sapesse che così facendo si leghi le mani e si privi della possibilità di contare quando ci sarà da giocare la partita delle nomine. Gli elettori lo hanno capito e quelli che ancora votano, hanno segnalato di non voler più sprecare la loro X sulla scheda per scelte di cuore inconcludenti.