Diventare insegnante e precari nell’economia dello Stato: perché il docente di ruolo non conviene alla scuola ‘azienda’? |Intervista

La professione di insegnante è sempre più difficile da raggiungere e in questa lunga intervista un insegnante abilitato ci parla di quella che, ai suoi occhi, è la situazione attuale del comparto scuola.
7 anni fa
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Diventare insegnanti: sono milioni i precari che sperano di ottenere una cattedra da anni mentre le varie riforme cambiano i requisiti e le modalità per farlo. Questo ha fatto si che i precari storici della scuola, nonostante non abbiano mai avuto le tutele degli insegnanti di ruolo, abbiano fatto sì che la scuola italiana andasse avanti in ogni caso, continuando a sperare nel posto fisso che non è mai arrivato. Proprio per questo motivo abbiamo intervistato un insegnante abilitato tramite TFA, vincitore di concorso che, nonostante tutto è ancora precario e in attesa del ruolo e che, come spiega, per sopravvivere ha deciso di fare scelte lavorative differenti.

In questa lunga intervista, in cui accusa lo Stato di aver reso la scuola come un’azienda, ci racconta la sua versione dei fatti e la sua opinione sugli insegnanti e sui precari di oggi, figure ormai squalificate e viste come di secondo piano.

L’iter per diventare insegnante si è di molto complicato: cosa è cambiato e perché?

L’iter è molto cambiato, è vero, ed è diventato più complicato. Le motivazioni vorrebbero essere di carattere didattico-pedagogico: l’insegnamento è una professione, per cui non è necessario soltanto avere un certo numero di conoscenze, ma occorrono anche competenze specifiche nella relazione di insegnamento-apprendimento. Tutto giusto sulla carta. Nella realtà, però, le cose stanno in maniera differente: l’introduzione di corsi specifici post-laurea (l’ultima riforma, almeno, ha introdotto tale percorso già come specialistica di laurea) è stato puramente di facciata; ho partecipato al TFA: nessuna indicazione, ma soltanto fuffa metodologica senza alcun rapporto con il mondo reale. Allo stesso tempo: una finzione per dimostrare di essere un paese in cui si tiene alla funzione docente, un modo per far arricchire università e centri di specializzazione.

Per i precari della scuola che vorrebbero entrare di ruolo è sempre più difficile ambire ad un “Lavoro fisso”. Secondo te cosa ha pesato maggiormente in questo peggioramento delle condizioni dei supplenti?

Il problema è ancora una volta sul piano normativo.

L’Italia è un paese in cui le leggi e le norme cambiano ogni venti minuti circa e questo ha creato una situazione paradossale, in cui categorie differenti di precari (per motivi a loro volta differenti) si sono trovati a fronteggiarsi in un vero e proprio bellum omnium contra omnes. Il “supplente” è una categoria quanto mai vaga: c’è chi è abilitato (tramite la truffa del TFA), chi aveva già l’abilitazione perché ai suoi tempi la laurea era abilitante, chi è neo-laureato e spera di poter intraprendere questa carriera. Insomma, il posto fisso è una chimera, ma sembra che una sorta di normalizzazione sulla carta vi sia: da oggi in poi, per diventare insegnante occorre una laurea abilitante, vincere un concorso, fare un tirocinio (non si sa ancora fino a che punto) sottopagati e poi essere assunti. Insomma: lasciate ogni speranza oh voi ch’entrate!

Qual è secondo te il futuro dei precari?

Dipende dalla categoria di appartenenza. Se non si è veramente motivati, il mio consiglio è di desistere: la strada è lunga e tortuosa, ma soprattutto lastricata di risentimento e senso di sconfitta e rabbia.

Tu da precario so che hai fatto scelte lavorative diverse pur essendo vincitore dell’ultimo concorso, ci vuoi dire perché?

La mia è la situazione paradossale per eccellenza. Come spiegavo prima, le leggi in Italia cambiano ogni venti minuti ed io mi sono trovato nella stagione più sfavorevole per diventare insegnanti. Innanzitutto, io appartengo alla generazione che per circa 3-4 anni non ha avuto modo di raggiungere l’abilitazione all’insegnamento né di partecipare a concorsi: dal 2008 al 2012 si è bloccato tutto. La perdita di tempo in termini esistenziali è clamorosa, così come la necessità di trovare altre fonti di guadagno.

Poi, è stato indetto il TFA, che, oltre a dare l’abilitazione, avrebbe dovuto anche essere un concorso a tutti gli effetti e garantire l’assunzione: partecipo e vinco. Seguo il corso e poi cambia la normativa: il TFA diviene soltanto abilitante e occorre un concorso per sperare nell’assunzione. Trascorrono altri 3-4 anni e viene indetto il concorso scuola 2016: partecipo e vinco, posizionandomi anche molto in alto. Sono trascorsi circa 9 anni dal momento in cui mi sono laureato. Ultima beffa: per la mia classe di concorso nella mia regione sono stati banditi posti che non esistevano ancora. Nonostante la vittoria, sono ancora a spasso. Questo credo che basti a spiegare perché, per sopravvivere, ho fatto scelte lavorative differenti.

L’intervista prosegue nella prossima pagina in cui si parlerà di quanto la precarietà dell’insegnamento incida sull’apprendimento, di quali sono i requisiti per diventare un buon insegnante e di come è cambiato nel tempo il ruolo del “maestro di vita”.

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