Diversificare gli investimenti: si o no? Per molti è considerata una regola d’oro ma proprio uno dei più famosi investitori, Warren Buffett, e non è il solo, si è contraddistinto per il pensiero diametralmente opposto. Chi ha ragione? Analizziamo i pro e i contro della diversificazione negli investimenti.
[Sommario]
Come evitare di fare una frittata con i tuoi soldi
La motivazione del perché diversificare è piuttosto intuitiva. Se si puntano tutti i soldi su uno stesso prodotto finanziario o ancora peggio su una stessa azione, si rischia di perdere tutto quando si fa uno sbaglio.
Avrete sicuramente letto il proverbio inglese che invita a non mettere tutte le uova nello stesso cestino, perché se cade si fa una frittata.
Attenzione: non abbiamo detto a caso “prodotto finanziario o azione” perché molti investitori alle prime armi sono convinti di diversificare ma in realtà lo fanno solo apparentemente. E’ quello che tecnicamente si chiama “diversificazione ingenua”: ad esempio quando si comprano solo azioni, anche se di aziende o settori diversi.
Per diversificare bene occorre distribuire i propri soldi includendo diversi:
- Aziende (questa è la regola base della diversificazione, il caso Enron insegna);
- Settori;
- prodotti finanziari (quindi includere nel proprio portafoglio finanziario anche obbligazioni, Btp etc);
- mercati (senza cadere nell’home bias che porta a fidarsi solo di quello che è vicino e culturalmente familiare)
Diversificare gli investimenti è da principianti?
La storia di successo di Buffet è sicuramente un modello da cui prendere ispirazione ma dobbiamo partire dal presupposto che non tutti hanno lo stesso talento e intuizione. Soprattutto di recente la sua figura va prepotentemente di moda. Ma considerarlo un guru o la Bibbia degli investimenti finanziari può essere fuorviante.
Buffet ha sempre sostenuto che la “diversificazione è un alibi per l’ignoranza”: in altre parole, chi non sa diversifica, chi sa osa. E in effetti il portafoglio di Buffett contiene essenzialmente 5 azioni, almeno per i tre quarti della sua composizione.
Ritornando alla metafora del cestino di prima Buffet consiglierebbe di tenere sott’occhio costantemente il cesto, per evitare che cada.
Ma prima di emularlo chiediti: tu ne sai quanto lui? E se anche ti ci avvicini: hai le sue stesse possibilità di far fronte a eventuali passi falsi?
Il modello Yale che smentisce Buffet
Tra l’altro ci sono altri, molti, esponenti di rilievo nel mondo della finanza che hanno preso distanza dalle posizioni di Buffet. E non parliamo di principianti. David Swensen vi dice niente? Probabilmente il suo nome è meno noto ma oltre a essere stato un investitore value, come Warren Buffet, dopo una bruciante carriera a Wall Street, ha concentrato le sue capacità finanziarie in un settore diverso, quello universitario. Swensen infatti ha gestito dal 1985 l’università di Yale, creando il modello di management che l’ha portata a essere un polo così prestigioso. Cosa ci insegna questo modello nell’ottica della diversificazione?
Nella gestione, imitata da altre università ma anche in Borsa appunto, Swensen si è basato sulla diversificazione
- geografica: uscendo fuori dal mercato statunitense
- temporale: preferendo mercati liquidi come venture capital, materie prime e real estate potendo puntare su un orizzonte temporale ampio.
La gestione ha incluso swap finanziari, patrimonio finalizzato al finanziamento di borse di studio e portò il valore del patrimonio da un miliardo a 32 miliardi in venti anni.
E se Buffett esorta a anticipare i tempi e andare contro corrente “Abbi paura quando gli altri sono avidi; sii avido quando gli altri hanno paura”, Swensen è un sostenitore della pazienza definendo la gestione del portafoglio come una gara di resistenza e non come uno sprint.