La notizia è di quelle che fa rumore, anche se l’importanza del Movimento 5 Stelle non è più quella di un tempo: Beppe Grillo non riceverà più i 300.000 annui che gli venivano pagati in qualità di consulente politico. L’ex premier Giuseppe Conte si vendica così del suo “creatore”, che negli ultimi tempi ha cercato di mettergli i bastoni tra le ruote in vari modi. Anziché essere una figura necessaria per la comunicazione di quello che è ormai un partito a tutti gli effetti, farebbe soltanto confusione e sarebbe artefice di un vero “sabotaggio” ai danni di quest’ultimo.
Movimento 5 Stelle, scontro al vertice
La notizia l’ha data lo stesso Conte l’altro ieri, in occasione dell’intervista rilasciata a Bruno Vespa per il libro che uscirà tra poche settimane. La corda alla fine s’è spezzata.
Due galli nel pollaio non possono starci. Prima era toccato a Luigi Di Maio fare le valigie, ora c’è il tentativo di fare fuori niente di meno che il fondatore del Movimento 5 Stelle. Una situazione così preoccupante da far dire a Davide Casaleggio, figlio di Gianroberto, co-fondatore dei pentastellati, che “alla fine resterà un solo elettore”. Egli ha altresì fatto notare che il simbolo appartiene all’associazione fondata da lui insieme a Di Maio.
Non era un mistero che Grillo prendesse soldi dal Movimento, semmai è incredibile come questo fatto non sia mai stato oggetto di attenzione dei media. E’ normale che per contratto un partito politico, rappresentato all’interno delle istituzioni elettive, sia tenuto a versare una cifra cospicua anno dopo anno a chicchessia? Ed è normale che sia avvenuto anche negli ultimi anni, quando sappiamo tutti che la comunicazione del Movimento non la gestisce più di certo Grillo?
Trasparenza, questa sconosciuta
I pentastellati avevano fatto della trasparenza il loro vessillo ideologico, ma dire che il funzionamento del loro partito sia privo di trasparenza è quasi un eufemismo.
E pensare che fino al 2021 i parlamentari erano altresì tenuti a versare 300 euro al mese ciascuno alla piattaforma Rousseau, gestita dalla Casaleggio & Associati. Vero, dietro c’era l’offerta di un servizio per le comunicazioni tra iscritti e rappresentanti del Movimento. Tuttavia, anche in quel caso avevamo un fondatore a lucrare sul partito che aveva fatto nascere. Tanto per fare un raffronto, Silvio Berlusconi morì da creditore verso Forza Italia per la bellezza di oltre 90 milioni di euro. In pratica, ci aveva messo soldi propri per mantenerne l’apparato, altro che lucrarvi sopra.
Dalle parti di Grillo hanno fatto notare che il contratto che lo lega al Movimento resta in piedi. Come dire che l’ex comico non mollerà di certo facilmente il malloppo. Né Conte può pensare di avere chiuso la vicenda in questo modo. Dov’è stato in questi anni? Possibile che si sia accorto solo adesso che con il genovese non va più d’accordo che la consulenza a titolo oneroso fosse un’anomalia nel quadro dei rapporti intrattenuti da un partito politico? Quei soldi arrivano verosimilmente dai contributi versati dagli elettori in sede di dichiarazione dei redditi e dai fondi a cui il Movimento ha accesso tramite i gruppi di Camera e Senato.
Insomma, denari pubblici. C’è la necessità di dare spiegazioni.
Grillo ha sobillato le piazze, ma non gratis
In questa vicenda salta all’occhio un dato peculiarmente negativo: il funzionamento del Movimento era stato contrattualizzato sin dalla nascita come se si trattasse di un’azienda e non di un partito politico. Tutto era stato rigidamente preconfezionato con divieti e prescrizioni persino comportamentali, come se la politica fosse immobilismo e non evoluzione dinamica, essendo legata alla realtà. E il paradosso sta nel fatto che i grillini siano stati e restino i più agguerriti contro i conflitti di interesse, le presunte ingerenze dei privati negli affari politici e di stato e la mancata trasparenza dei partiti. Invece, per “contratto” sono stati tenuti da sempre a finanziare un’azienda privata e lo stesso fondatore. Grillo ha sollevato le piazze contro il palazzo, ma lo ha fatto facendosi pagare. Tutto lecito, ma moralmente dubbio. Ha predicato per anni la politica fatta con disinteresse, ma avendo un interesse economico nel farla. Questa è la storia del più grande imbroglio repubblicano. E non era per nulla facile segnare questo record.