Minori tensioni sulla Cina
Restando tra le grandi economie emergenti, la rupia indiana ha messo a segno oltre il 6% contro il dollaro, cosa che ha contribuito a rallentarne l’inflazione dal 6% di un anno fa all’1,5% di giugno. Di conseguenza, i bond a 2 anni rendono oggi appena meno di inizio 2017 e quelli a 10 anni sono saliti di poco al 6,5%.
E che dire dello yuan cinese, che nel 2016 aveva riportato il peggiore risultato dal 1990, perdendo il 6,7%, mentre quest’anno guadagna già il 4% contro il dollaro? Grazie a tale inversione del trend, Pechino desta oggi minori preoccupazioni sulla fuga di capitali esplosa poco più di due anni fa e che aveva generato allarme tra analisti e investitori mondiali.
Il dollaro debole, poi, rafforza le quotazioni delle materie prime, di cui sono generalmente produttrici svariate economie emergenti, migliorandone i saldi commerciali e i rischi finanziari. Non stiamo dicendo che per ciò stesso il mondo sarebbe salvo da una possibile crisi in vista. Non basta certo il cambio americano a mettere una pezza su ogni buco dell’economia mondiale, ma se fino a pochi mesi fa eravamo concentrati nel verificare l’impatto negativo della stretta USA sui mercati emergenti, quanto meno adesso abbiamo spostato più in avanti tale appuntamento. Nel frattempo, paesi avanzati ed emergenti si rafforzano, aumentando auspicabilmente la resistenza per i casi di stress futuri. (Leggi anche: Economia cinese, crescita stabile tra luci e ombre)