Il riarmo europeo rappresenta per l’Europa il più grande cambiamento paradigmatico dalla fine del secondo conflitto mondiale. Il linguaggio stesso adottato in queste settimane dall’Unione Europea segna una cesura profonda con quello passato. Adesso la pace viene declinata non più nel senso di inazione dinnanzi al mondo circostante minaccioso, ma come dissuasione attiva nei confronti del nemico, ad iniziare dalla Russia di Vladimir Putin. Sembra tornare in auge la dottrina Reagan, anche se stavolta non nella superpotenza in cui venne concepita.
Dottrina Reagan negli anni Ottanta
Ronald Reagan fu presidente degli Stati Uniti dal 1981 al 1999. Il mondo di oggi lo si deve alla sua politica di successo contro l’Unione Sovietica, che portò al collasso di tutti i regimi comunisti dell’Est Europa tra il 1989 e il 1991.
Egli arrivò alla Casa Bianca in un momento di grande sconforto per il popolo americano, tra crisi dell’economia, alta inflazione e drammatica sconfitta militare nel Vietnam. L’URSS di allora era all’apice della sua influenza nel mondo e a Washington si respirava aria di rassegnazione circa l’impossibilità di contenerne la potenza militare e ideologica.
Ma Reagan impose la sua dottrina: potenziare al massimo il confronto bellico attraverso il lancio di programmi dispendiosi, ma capaci possibilmente di riaffermare e rafforzare la supremazia americana. Fu così che nacque Guerre Stellari, dal nome del popolare film di fantascienza del 1977. Il succo di questo modo di agire del presidente conservatore fu questo: ricorrere a un po’ di indebitamento per finanziare la spesa bellica. L’America avrebbe retto alla sfida, mentre egli scommise che l’URSS la avrebbe inseguita fino a svenarsi e a crollare su sé stessa.
Boom debito USA e caduta URSS
Una strategia criticata allora anche a destra, visto che Reagan aveva vinto con un programma che si proponeva di risanare i conti pubblici e non certo di dissestarli. Ma sotto i suoi 8 anni alla Casa Bianca il deficit fiscale medio fu al 4,3% del Pil. Il debito pubblico s’impennò dal 40% al 60%. Avrebbe toccato un massimo al 70% nel 1993 per poi declinare. L’aumento della spesa militare pesò molto su questo indebitamento. Essa era stata ereditata al 7,8% del Pil e lasciata al successore George Bush senior al 9%. Pensate che adesso, per quanto appaia elevata in valore assoluto, essendo stimata attorno ai 900 miliardi di dollari, raggiunge “appena” il 3%.
Il tempo diede ragione alla dottrina Reagan. Già nel 1987 si arrivò tra USA e URSS alla firma di una tregua in materia di armamenti. Il dittatore sovietico Mikhail Gorbaciov si era reso conto di non potere più inseguire gli americani sulla strada del bellicismo. La sua economia, a differenza di quella nemica, ristagnava e tra la popolazione si diffondeva il malcontento per la carenza di beni di prima necessità. Entro la fine del decennio erano crollati tutti i regimi-satellite di Mosca in Europa. A fine ’91 veniva ammainata al Cremlino la bandiera sovietica.
Era la fine del comunismo nel mondo di allora che contava.
Alla dottrina Reagan si contrappose quella che ironicamente fu definita “dottrina Sinatra” di Gorbaciov, dal titolo della celeberrima canzone “My Way” (“A modo mio”). Impossibilitato ormai a tenere a bada gli alleati del Patto di Varsavia, il presidente russo lasciò che ognuno di loro facesse come volesse negli affari interni.
Riarmo UE
L’Unione Europea oggi sembrerebbe volere ripercorrere le tappe di Washington di oltre 40 anni fa. Ha appena definito un piano per il riarmo di 800 miliardi, di cui 150 attraverso prestiti mirati ai 27 stati comunitari. La sola Germania punta ad accrescere la spesa militare di 500 miliardi in 10 anni. Gli incrementi dei budget nazionali per la difesa saranno esclusi dal calcolo del deficit ai fini del Patto di stabilità fino all’1,5% del Pil all’anno. La questione è diventata controversa, specie dopo che gli stessi rendimenti tedeschi sono esplosi sul mercato scontando l’impennata attesa del debito in Germania.
Confronto UE-Russia
L’Europa di oggi può permettersi di rispolverare la dottrina Reagan? I numeri sono assai diversi da quelli che l’allora presidente repubblicano si trovò a maneggiare. L’UE ha nel complesso un debito pubblico all’81% del Pil contro il 17% della Russia. E la prima non è uno stato, bensì la somma di 27 stati. Si va dal rapporto debito/Pil quasi al 160% in Grecia fino al 24% in Estonia. La Germania dispone di buoni margini fiscali con meno del 65%, mentre Italia (135,3%) e Francia (113,7%) non possono permettersi più di aumentare la spesa in deficit. Anzi, Parigi sta rischiando da mesi una grave crisi fiscale.
L’UE spende nella difesa solo l’1,9% del Pil, pari a 326 miliardi di euro nel 2024. La Russia ha speso nello stesso anno il 6,7%, ma corrispondenti solo a 145,9 miliardi di dollari. Nel 2021, prima dell’invasione dell’Ucraina, destinava alla spesa bellica il 3,6% del Pil. Emergerebbe per il Vecchio Continente l’esigenza non soltanto e tanto di aumentare la spesa militare, bensì di razionalizzarla per evitare quelle ridondanze nazionali che la rendono inefficiente.
Realtà oltre i numeri
Se guardassimo ai soli dati sul debito pubblico, dedurremmo che l’UE stia adottando la dottrina Reagan in maniera autolesionistica. La realtà è diversa. La Russia ha un basso debito nel confronto internazionale, ma non dispone di un mercato dei capitali sufficiente con cui eventualmente finanziare l’ulteriore riarmo.
Con le sanzioni imposte dall’Occidente, Mosca è costretta anno dopo anno a limitare il deficit fiscale, altrimenti dovrebbe finanziarsi verosimilmente ricorrendo più ai prestiti bilaterali con stati amici come la Cina, anziché agli investitori privati.
Ma il problema esiste obiettivamente anche per noi europei. Se la dottrina Reagan portasse nel giro di un decennio all’aumento del debito intorno o sopra il 100% del Pil, le condizioni fiscali nel continente si deteriorerebbero alquanto. Disporremmo di margini nulli per fronteggiare eventuali altre crisi durante o successivamente al completamento del riarmo. Cosa ancora più seria, il piano avverrebbe in modo sbilanciato a favore di alcuni stati con conti pubblici iniziali più solidi e ai danni di altri meno brillanti.
Dottrina Reagan impossibile negli USA di oggi
Ricordate gli anni degli attivi di bilancio dell’era Clinton? Furono resi possibili proprio grazie alla riduzione della spesa militare. Questa passò dal 9% di fine anni Ottanta al 5,3% di un decennio più tardi. E tale calo incise per quasi il 100% del miglioramento dei saldi fiscali, passati da un deficit del 3% a un avanzo dello 0,8%. Il nemico era caduto, non ci fu più bisogno di sovra-spendere in armamenti.
L’America di oggi non può permettersi più, però, di tornare alla dottrina Reagan. Con un debito pubblico sopra il 120%, cioè triplo rispetto a 45 anni fa, rischierebbe questa volta di rompersi l’osso del collo e di portare al declino del dollaro come valuta di riserva mondiale. Ecco perché il presidente Donald Trump, che pure sfoggia un quadro di Reagan nello Studio Ovale, è costretto a sbraitare contro gli alleati europei per convincerli a spendere di più per la loro difesa. Zio Sam deve tagliare il suo budget per il Pentagono.