Downgrade Standard and Poor’s. Cosa attendersi dopo il taglio del rating sull’Italia

Il rating dell'Italia è solo due gradini sopra al livello spazzatura eppure il giorno dopo il downgrade di S&P a Piazza Affari non si sono viste scene di panico. Ma sarebbe sbagliato dire che le agenzie di rating non fanno più paura perchè di certo fanno "pressione politica"
11 anni fa
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L’indice Ftse Mib cede circa l’1% nel corso della mattinata, dopo l’ennesima bocciatura dei nostri conti pubblici da parte dell’agenzia di rating americana Standard & Poor’s. A seguito della bocciatura del rating dell’Italia i rendimenti dei titoli a 12 mesi, in asta questa mattina, si sono riportati sopra l’1%, sebbene la domanda sia stata sostenuta. Segno evidente che stiamo perdendo progressivamente terreno sui guadagni realizzati nei mesi precedenti (Asta Bot: tassi in rialzo all’1,08%, pesa downgrade di Standard & Poor’s).

La reazione dei mercati non è stata di panico, anche perché la decisione dell’agenzia sembra rispecchiare il giudizio che già da tempo gli investitori assegnano al nostro paese. Preoccupa, semmai, la prospettiva di quanto potrebbe accadere, nel caso in cui S&P o le altre due agenzie maggiori del pianeta (Moody’s e Fitch) declassassero ulteriormente i nostri titoli di stato, perché a quel punto la storia cambierebbe. S&P, ad esempio, da ieri sera assegna ai nostri bond sovrani un rating BBB, ossia solo due gradini al di sopra del livello “junk” o “spazzatura”, o per dirla più formalmente, “non investment grade”. Ciò significa che tra due livelli più bassi, i nostri titoli non sarebbero più considerati consigliabili agli investitori. Non una semplice formalità, perché gli statuti di svariate banche e fondi internazionali impediscono gli acquisti di titoli speculativi. In altri termini, basterebbe la semplice stroncatura di almeno una delle tre agenzie maggiori, che l’Italia si troverebbe a non godere più di buona parte della domanda degli investitori istituzionali.

Il giudizio di S&P (BBB) e Moody’s (BBB+) è due gradini superiore al livello di allerta, mentre quello di Fitch (Baa2) è di un solo gradino superiore.

 

Crisi economica Italia: da cosa prende spunto la bocciatura degli analisti Usa

Certo, ha ragione il Tesoro a protestare che il “downgrade” di ieri sarebbe frutto di decisioni passate, perché la motivazione fondamentale del declassamento risiede nella sospensione della prima rata di giugno dell’IMU sulle prima case e nel rinvio momentaneo dell’aumento dell’IVA.

Le coperture finanziarie non sono state ancora trovate e S&P teme che ciò si ripercuota negativamente sui nostri conti pubblici di fine anno, visto che i due provvedimenti peserebbero per almeno 4 miliardi quest’anno e per 6,1 miliardi dal 2014. Ma è altrettanto indubbio che nessuno nella maggioranza che sostiene il governo Letta, né tanto meno nell’esecutivo, ha intenzione di varare le due misure fiscali in deficit. Da ciò, la considerazione che il “downgrade” sia stato più un monito a Roma che il riflesso di un ulteriore deterioramento della sostenibilità a lungo termine del nostro debito pubblico.

 

Il downgrade sul rating dell’Italia come forma di pressione “politica”

La conseguenza immediata del declassamento di S&P è, invece, più prettamente politica, essendo una forma di pressione, al pari del Fondo Monetario, dell’Ocse e di Bruxelles, affinché l’Italia non abroghi l’IMU sulle prime case e non cancelli l’aumento previsto dell’IVA. Se il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, ha precisato che sarà trovata una soluzione di compromesso tra le opposte esigenze, il premier Enrico Letta ha sottolineato come sbagli chi pensa che l’Italia non sia più un sorvegliato speciale, anche se in privato si vocifera che sia stato molto duro con la decisione dell’agenzia.

Il commissario agli Affari monetari, Olli Rehn, ha rassicurato che l’Italia seguirà le raccomandazioni di Bruxelles, che consistono nello spostamento del carico fiscale dal lavoro alla ricchezza e ai consumi.

Il paradosso è che proprio l’eccessiva influenza esterna su Roma potrebbe fare saltare il governo delle larghe intese, che rappresenta ad oggi la maggiore garanzia di stabilità politica nel breve termine e di rigore sui conti pubblici.

Dichiarazioni, report e decisioni come quelle dei maggiori istituti internazionali di questi ultimi giorni rischiano di esacerbare lo scontro interno alla maggioranza e per tale via di indebolire, non certo rafforzare, gli sforzi dell’Italia sul fronte del risanamento.

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