Il Financial Times sgancia la bomba: Mario Draghi sarebbe in pole position per rimpiazzare Charles Michel come presidente del Consiglio europeo. Il belga ha annunciato qualche giorno fa la candidatura alle elezioni europee di giugno per il suo Movimento Riformatore, una formazione liberale. Per questo dovrà necessariamente lasciare la carica prima della scadenza di luglio. Ed ecco che entrerebbe in gioco l’ex premier italiano, che tutti gli analisti politici internazionali danno come possibile successore a una qualche carica di rilievo nelle istituzioni comunitarie.
Draghi successore di Michel, percorso ad ostacoli
Il presidente del Consiglio europeo coordina sostanzialmente i lavori dei capi di stato e di governo nelle sessioni ad essi dedicate. Se vogliamo, ha un ruolo meno operativo del presidente della Commissione europea, che è un organo esecutivo e con poteri sempre più pregnanti. Pur prestigiosa, la carica risulterebbe per Draghi meno ambiziosa di quanto auspicherebbe verosimilmente per dopo le elezioni europee. C’è un altro problema: le dimissioni anticipate di Michel sarebbero seguite da una nomina transitoria, nell’attesa che si trovi un accordo complessivo sulla spartizione delle cariche?
Draghi rifiuterebbe quasi certamente un incarico di pochi mesi o settimane. D’altra parte, pensare che governi e partiti trovino un’intesa senza conoscere il responso elettorale appare poco credibile. Gli equilibri in gioco sono delicatissimi: tra partiti, tra grandi e piccoli stati, tra Est ed Ovest, tra Nord e Sud, ecc. L’uso del bilancino porta a trattative estenuanti, spesso stucchevoli. Germania e Francia pretendono sempre di avere almeno una delle grandi cariche per sé o a favore di stretti alleati.
Punti di forza
Quali i punti di forza di Draghi per diventare il prossimo presidente del Consiglio UE? In primis, l’essere italiano. All’Italia, tra i paesi più grandi e fondatori dell’Unione, spetta una delle cariche principali secondo un principio non scritto.
Al momento, la casella più importante – la Commissione – è in mano alla Germania con Ursula von der Leyen; la BCE è guidata dalla francese Christine Lagarde, l’Europarlamento dalla maltese Roberta Metsola e il Consiglio dal belga. Questo apre alla necessità di inserire l’Italia in una delle caselle più importanti.
A favore di Draghi concorre la sua collaudata autorevolezza internazionale. E’ stato governatore della BCE negli più difficili e tutti lo considerano il salvatore dell’euro grazie al “whatever it takes“. Nessuno può metterne in dubbio la competenza sui dossier europei, tant’è che di recente la Commissione lo ha nominato a capo di uno studio sulla competitività delle imprese. Infine, non guasta il fatto che sia apartitico. Specie in uno scenario di stallo post-elettorale, Draghi vedrebbe visto come una possibile soluzione che accontenti tutti e per la quale nessuno potrebbe considerarsi sconfitto. E ciò varrebbe anche per la presidenza della Commissione, data la rielezione di von der Leyen tutt’altro che scontata.
Punti deboli
Ma ci sono anche indubbi fattori di debolezza di cui tenere conto. Proprio l’essere apartitico non rende Draghi la prima scelta di formazioni come il Partito Popolare e il Partito Socialista. Dopodiché, non tutti ne apprezzano le vedute. L’italiano è sempre stato favorevole all’unione fiscale, vale a dire al trasferimento crescente delle competenze nazionali a Bruxelles sulla gestione dei conti pubblici. Egli vorrebbe persino gli Eurobond, le emissioni di debito comune, invisi fortemente alla Germania.
E negli anni alla BCE, la sua politica monetaria ultra-espansiva fu avversata con fierezza dalla Bundesbank e, in generale, dai governatori del Centro-Nord Europa.
Draghi asso nella manica del governo Meloni
Infine, l’Italia. Giorgia Meloni lo sosterrà fino in fondo o cercherà di spostare gli equilibri europei a destra? Lo diranno le elezioni europee. Una maggioranza tutta di centro-destra appare improbabile per via dei numeri. A quel punto, servirà un ennesimo grande accordo con i socialisti. E qui Draghi cadrebbe a fagiolo. Egli maschererebbe la necessità anche per il governo italiano di allearsi con gli avversari in Europa, potendo la nostra premier rivendicare il risultato di aver concorso a fare eleggere un italiano in una delle principali cariche comunitarie. La partita è appena iniziata e nessun esito ad oggi può considerarsi scontato.