Più passano i giorni e più si capisce che il Parlamento, rieleggendo Sergio Mattarella come presidente della Repubblica, abbia voluto condannare il premier Mario Draghi alle sue responsabilità nell’ultimo anno di legislatura che si annuncia un incubo. I primi dodici mesi dell’ex banchiere centrale sono filati quasi tutti lisci come l’olio. Almeno fino a dicembre, tra rimbalzo del PIL superiore alle previsioni, partiti della maggioranza fintamente coesi, tenuti uniti dallo spandi e spendi contro l’emergenza sanitaria e il successo del piano vaccinale.
L’elezione del presidente della Repubblica segna uno spartiacque temporale tremendo per Draghi. Salutato il Quirinale, il premier dovrà rimanere a Palazzo Chigi fino alle prossime elezioni politiche tra un anno. E saranno altri dodici mesi a dir poco difficili. Anzitutto, i partiti hanno ripreso a litigare tra loro e, peggio, al loro interno. Forza Italia è un’accozzaglia di personaggi dediti a screditarsi a vicenda, la Lega è dilaniata tra voglia di fare opposizione al governo e ala “governista”. Il Movimento 5 Stelle è esploso tra “dimaiani” e “contiani”. Il PD è il solito partito balcanizzato in correnti.
Il primo problema di Draghi si chiama inflazione. I prezzi al consumo a gennaio sono cresciuti del 4,8% in Italia, trainati dal caro bollette. Confindustria stima che il mese scorso la produzione industriale sia scesa dell’1,3% dal -0,7% di dicembre, a causa proprio degli alti costi dell’energia, i quali stanno costringendo molte attività a chiudere temporaneamente battenti. Il governo ha stanziato 11 miliardi per aiutare famiglie e imprese, ma non basteranno. Soprattutto, non può farsi carico di una voce di spesa che incide per decine di miliardi sull’economia domestica. Ha allo studio un nuovo pacchetto di 5 miliardi per il secondo trimestre, ma non in deficit e non per tutti: gli aiuti sarebbero mirati a famiglie in difficoltà e imprese duramente penalizzate dalla pandemia.
Draghi tra inflazione e allarme spread
L’alta inflazione si tira dietro due altri problemi. Uno è la crescita. Dopo il +6,5% nel 2021, quest’anno il PIL parte con il freno a mano tirato. Probabile che salga meno del 4%, come stima il Fondo Monetario Internazionale. Lontano dal +4,7% previsto dal governo. Minore crescita significa trend dell’occupazione meno positivo, consumi meno dinamici e conti pubblici peggiori delle attese. A proposito di questi ultimi, lo spread è tornato, in barba al fatto che a capo dell’esecutivo vi sia Draghi. A conferma che non guardi in faccia nessuno. Sopra 160 punti base, è ai massimi da oltre un anno e mezzo. Le distanze si allargano anche con i titoli di stato spagnoli.
Per placare le paure dei mercati, dopo che il governatore BCE, Christine Lagarde, ha paventato un rialzo dei tassi entro l’anno, smentendo sé stessa di qualche settimana addietro, non possiamo escludere che Draghi e il suo governo a metà tra tecnico e politico si trovi costretto a varare una qualche manovra fiscale restrittiva. Per quest’anno, ha fissato il deficit al 5,6% del PIL. L’anno prossimo, invece, scenderebbe sotto il 4%. Al più tardi, con la legge di Stabilità 2023 da inviare a Bruxelles entro metà ottobre, potrebbe dover rivedere al ribasso gli obiettivi per non indispettire il mercato. Ma sotto elezioni, quale partito accetterà di tagliare la spesa pubblica o alzare le tasse?
Le difficoltà politiche andranno di pari passo a quelle economiche. Non si tiene in piedi un esecutivo con ministri che puntano semplicemente ad allungare la legislatura e che per il resto sono divisi tra loro su tutto. Finché il PIL rimbalzava dopo lo shock del 2020, nella maggioranza tutti hanno voluto raccoglierne i frutti, specie in vista dei quasi 200 miliardi di euro da gestire con i fondi europei dei Pnrr.