L’emergenza Coronavirus non è stata ancora superata, ma il rallentamento dei contagi è un dato di fatto e autorizza a guardare a dopo Pasqua, quando il governo dovrebbe iniziare a consentire la graduale riapertura delle attività economiche, mentre solamente da maggio allenterebbe le restrizioni alla libertà di movimento dei cittadini. La salute viene prima di tutto, ma senza soldi se ne va pure quella. E l’economia italiana non reggerà a lungo con fabbriche e negozi chiusi, perché di reddito di cittadinanza e bonus INPS non si tira avanti oltre la mesata.
La crisi dell’economia italiana sarà pesantissima, ricordatevi queste tre lettere: U, V e L
L’Italia parla di crisi “simmetrica” per giustificare la sua richiesta insistente all’Europa di emissioni di debiti in comune. Ha solo parzialmente ragione: lo shock sanitario è stato simmetrico, nel senso che ha colpito tutti gli stati europei (e non), ma la crisi si presenta asimmetrica per il suo impatto nei diversi contesti nazionali. Tutte le grandi economie subiranno un crollo del pil probabilmente a doppia cifra, ma la nostra andrà peggio di quasi tutte le altre, anche perché viene da un decennio peggiore, nel corso del quale non solo non ha superato la crisi mondiale del 2008-’09, ma ha compiuto passi indietro.
E così come il Coronavirus si sta rivelando letale per quelle persone che soffrono già di disturbi cronici, anche sull’economia impatta in egual modo. Il percorso di riabilitazione che rischiamo di intraprendere, però, avrebbe effetti deleteri sul malato, finanche uccidendolo. Con il decreto di marzo, il governo Conte ha assunto misure senza precedenti, tra cui il blocco dei licenziamenti per due mesi. E al Consiglio dei ministri di inizio settimana, ha esteso il Golden Power a tutti i settori considerati “strategici”, includendo quelli alimentare, finanziario e sanitario, finalizzato a impedire scalate “ostili” dall’estero.
Il ritorno allo stato-imprenditore
Già prima del Coronavirus si respirava un’aria neo-dirigista, con lo stato invocato come imprenditore, banchiere e al centro di tutta l’azione economica del Paese. Capita spesso nella storia che situazioni di crisi rafforzino e propaghino sentimenti ostili al libero mercato. Ma l’Italia di tutto avrebbe bisogno per ripartire, tranne che di mettersi ancora di più nelle mani del suo aguzzino. L’economia italiana è ingessata da una burocrazia che non ha eguali in Occidente, da una pressione fiscale abnorme e da una scarsa libertà di impresa, con i vari settori paralizzati da legislazioni corporative e spesso ottocentesche. Tanto per chiarirci le idee, lo stato è quell’apparato che impedisce a tutt’oggi alle 400 imprese che si sono offerte già da un mese per produrre mascherine di venderle, dato che la procedura d’urgenza reclamata dalle regioni per ottenere il timbro dell’Istituto superiore di sanità si è rivelata più lunga di quella ordinaria.
Il Decreto ‘Cura Italia’ non cura un bel niente
Nemmeno in piena pandemia la burocrazia italiana si è astenuta dal fare danni, così come ha messo tutti i bastoni possibili tra le ruote alla costruzione dell’ospedale da campo presso la Fiera di Milano. Lo stato uccide e lo statalismo non può essere la soluzione dei nostri mali per il semplice fatto che ne sia la causa.
Nessuno parla di tagliare le tasse, vale a dire il peso dello stato nell’economia italiana, perché questo equivarrebbe a fare i conti con il dimagrimento della Pubblica Amministrazione, che è quell’organismo in gran parte parassitario, attraverso il quale tutti i governi cercano di coltivare i consensi e di controllare il motore produttivo. Lo stato-imprenditore-banchiere è l’artefice dell’alto debito pubblico italiano, a sua volta la ragione per cui stiamo mendicando in Europa gli aiuti per non fallire. Stiamo tornando alle origini, a quel modo di pensare (di essere non lo avevamo abbandonato) che pensavamo di aver superato con l’avvento della Seconda Repubblica e il cambiamento (parzialissimo) forzato preteso dall’euro. Solo che ci stiamo illudendo di poter imbarcare in questa sventura anche il resto d’Europa, che ci sta chiudendo la porta in faccia; non del tutto a torto.