C’eravamo tanto odiati, per finta. Di tutte le giravolte politiche a cui siamo stati abituati negli ultimi anni, non ci saremmo aspettati quella di Renato Brunetta. L’ex ministro per la Pubblica Amministrazione dell’ultimo governo Berlusconi (2008-2011) si è sperticato in lodi nei confronti, niente di meno, che di uno dei suoi principali oggetti di invettive di questi anni: Luigi Di Maio. In un’intervista a “Il Foglio”, lo ha definito “vero leader”. E già ci sarebbe da strabuzzare gli occhi.
Chi ha seguito le vicende politiche e personali dell’ex capogruppo di Forza Italia sa che l’uomo non sia incline ai complimenti. Si auto-considera un grande e fine economista, irraggiungibile dalle menti modeste dei suoi colleghi parlamentari, fossero anche del suo stesso partito. Non ha mai riservato grosse simpatie per nessuno, fuorché chiaramente per Silvio Berlusconi, l’unico che lo ha sostenuto anche contro gli stessi gruppi parlamentari. Fu un non sostenitore del governo Monti, che nei fatti vide come l’epilogo di un complotto ai danni dell’esecutivo di cui faceva parte come ministro. Svolse un’opposizione quasi solitaria in Forza Italia al governo Renzi, attaccando la figura del giovane premier un giorno sì e l’altro pure. E questo, malgrado la stagione delle riforme attuata dal fiorentino, la cui unica colpa reale sarebbe stata quella di avergli fatto ombra nel panorama dei riformatori italiani.
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Il disgusto per gli alleati “sovranisti”
Sì, perché Brunetta si è sempre creduto al centro dell’azione politica e del riformismo. Nel 2005, quasi agli sgoccioli della legislatura interamente retta dal centro-destra, guidò la fronda anti-lettiana di Forza Italia, sostenendo che il governo Berlusconi avrebbe dovuto rompere gli indugi sulle riforme, anche slegandosi da Quirinale (c’era Carlo Azeglio Ciampi) e dai consigli di Gianni Letta.
Com’è possibile che un politico dall’excursus riformatore sia finito per tessere le lodi di un altro politico, che nell’immaginario pubblico rappresenta l’esatto contrario delle riforme? Per capirlo, bisogna compiere qualche passo indietro ed esattamente all’agosto 2019. Dopo qualche mojito in più, l’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini, sfiducia dal Papeete Beach il governo giallo-verde di Giuseppe Conte. A sorpresa, non si va alle elezioni anticipate, bensì alla nascita di un governo giallo-rosso, retto da M5S e PD. Brunetta, che di questi due partiti è sempre stato acerrimo avversario fino, a tratti, a rischiare di fare saltare il patto del Nazareno tra Matteo Renzi e Berlusconi, non solo non si straccia le vesti, ma quasi si compiace del fatto che i “sovranisti” siano rimasti all’opposizione. E lo sostiene apertamente, attaccando stavolta proprio Salvini e Giorgia Meloni, affermando che non vuole averci alcunché a che spartire. Questioni ideologiche? Insomma. Il punto è che Brunetta detesta chi gli possa fare ombra e non ha potuto accettare l’idea che nel centro-destra la “sua” (sic!) Forza Italia abbia perso centralità a favore di Lega e Fratelli d’Italia.
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La svolta “grillina” di Brunetta
A inizio 2020, già profetizza un governo Salvini-Renzi per cercare di smuovere le acque in una direzione che reputa favorevole alle sue chance di tornare a fare il ministro. Poi, con l’emergenza Covid il quadro muta repentinamente. Negli ultimi tempi, Brunetta invoca l’unità nazionale e la ottiene con la votazione unanime del Parlamento sul quarto scostamento di bilancio, avvenuta pochi giorni fa e che lo avrebbe commosso a tal punto, dichiara, da trattenere a stento le lacrime.
Se Berlusconi è ormai interessato esclusivamente alla salvaguardia degli interessi aziendali e non si fa più alcun problema a trattare con i “nemici” di una vita, quelli che lo estromisero dal Senato e lo spedirono a Cesano Boscone a scontare la pena da badante di anziani, i suoi accoliti sono alla ricerca disperata di una scialuppa di salvataggio per darsi almeno un’ultima possibilità di ricoprire qualche poltrona, non importa sotto quale governo. Brunetta ritiene di essere il possibile regista di un’operazione che possa spingere Forza Italia in maggioranza e magari con Di Maio premier al posto di Conte, potendo essere premiato forse con la nomina a ministro dell’Economia, il sogno di una vita per dimostrare a tutti la sua bravura inespressa e, in effetti, mai intravista, se non a chiacchiere.
L’uomo è ambizioso e sa che non avrebbe un vero futuro politico con un governo salvinian-meloniano, date le scarse simpatie di cui gode tra gli elettori dei partiti alleati e dai media che sostengono lo stesso centro-destra (vedasi la polemica durissima con Vittorio Feltri). Spera che un Di Maio possa aprirgli finalmente le porte di Via XX Settembre. Triste fine di un fine economista, o almeno di uno che si è sempre creduto tale. Ma questa non è politica, non c’entra nulla con l’ideologia, i programmi, il pur necessario pragmatismo politico. Nessuna ragione al mondo ci sarebbe per far sedere allo stesso tavolo Brunetta e Di Maio, salvo che la comune volontà di gestire il potere.
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