Nei giorni scorsi, la quotazione dell’oro è tornata sopra 2.000 dollari l’oncia, riavvicinandosi ai massimi storici. Mentre scriviamo, sfiora i 1.990 dollari. La banda di oscillazione appare abbastanza stretta nelle ultime sedute. E nonostante siano accadute un bel po’ di cose sui mercati finanziari. Per prima cosa, c’è il rientro dell’inflazione nell’Eurozona dal 4,3% di settembre al 2,9% di ottobre. La Banca Centrale Europea ha annunciato una pausa sugli aumenti dei tassi di interesse all’ultimo board del 26 ottobre scorso, proprio il giorno in cui i prezzi dell’oro toccavano i massimi da maggio.
Si allentano i timori sull’inflazione
Un’inflazione in calo non sarebbe una buona notizia per il bene rifugio per eccellenza. Viene meno uno dei principali motivi per acquistarlo a scopo di protezione contro la perdita del potere di acquisto. D’altra parte, sta accadendo anche che i rendimenti obbligazionari stiano cedendo vistosamente. Il T-bond a 10 anni negli Stati Uniti è sceso dal 5% di ottobre fino al 4,50% nelle scorse sedute. Lo stesso avviene nell’Eurozona. Basti pensare allo stesso BTp a 10 anni e allo spread, scesi anche in considerazione dei minori rischi sovrani a carico del debito pubblico italiano.
Rendimenti bond giù
Rendimenti in calo sono una buona notizia per l’oro. Infatti, i bond sono investimenti alternativi e staccano cedole periodiche agli investitori. Ora che iniziano a diventare un po’ meno remunerativi, il metallo giallo può tornare a sorridere. Dunque, la quotazione ondeggia in prossimità dei 2.000 dollari l’oncia per effetto di due forze contrastanti. Come regolarsi? Presto il vero driver del mercato sarà dato dai rendimenti obbligazionari reali. Se nei prossimi mesi il calo dell’inflazione risulterà superiore a quelli dei rendimenti, l’oro rischia di ripiegare.
Questo discorso non sta tenendo conto di altre variabili. Una è l’andamento del dollaro contro le altre principali valute. Il “super” dollaro è stato un freno in questi ultimi anni al boom dell’oro, rendendolo più caro per gli acquirenti non americani. Se i rendimenti dei T-bond dovessero iniziare ad arretrare sul mercato, il biglietto verde perderebbe appeal e ciò rinvigorirebbe le quotazioni delle materie prime. E c’è poi il panorama geopolitico a deporre in questa fase a favore dell’oro. Alla guerra russo-ucraina e alle tensioni USA-Cina si affianca adesso la guerra tra Israele e Hamas. I “safe asset“ non possono che registrare performance positive, ceteris paribus.
Spettro recessione ambiguo sull’oro
Ma la vera domanda di questi mesi è la seguente: l’economia mondiale si sta dirigendo verso la recessione? L’Eurozona sembra proprio di sì, gli Stati Uniti forse tra qualche trimestre. Una crisi economica avrebbe anch’essa effetti contrastanti sull’oro: da un lato trascinerebbe giù l’inflazione e con essa le quotazioni dell’oro, dall’altro rafforzerebbe gli investimenti a scopo protettivo. Sarà la reazione delle banche centrali con ogni probabilità a segnare una svolta nell’una o nell’altra direzione. Un ritorno all’accomodamento monetario ridurrebbe ulteriormente la fiducia verso le valute e il sistema finanziario globale, stimolando la corsa all’oro. Per non parlare del fatto che già da anni in Asia le banche centrali stanno acquistando metallo a ritmi senza precedenti per sganciarsi dall’oro e consolidare la fiducia del mercato verso le rispettive monete emesse.