Il recente dibattito sull’obbligo di destinare il 25% del Trattamento di Fine Rapporto (TFR) ai fondi pensione ha sollevato non poche preoccupazioni e critiche. Questa ipotesi, avanzata come una possibile soluzione al crescente problema delle pensioni in Italia, appare insufficiente a risolvere le sfide previdenziali che molti lavoratori si troveranno ad affrontare nei prossimi anni.
Secondo gli studi condotti da diverse organizzazioni sindacali, come la CGIL, tale misura non solo non garantirebbe una pensione adeguata, ma potrebbe addirittura peggiorare la situazione per alcune categorie di lavoratori, specialmente per le donne e per coloro con redditi più bassi.
Una misura inadeguata per garantire la sicurezza economica
Secondo le stime fornite dagli esperti previdenziali, la previdenza complementare obbligatoria, se si farà, porterebbe a rendite pensionistiche mensili molto basse. Per esempio, per un lavoratore con un reddito annuo lordo di 10.000 euro, che inizia a contribuire a 30 anni, l’importo mensile che riceverebbe in pensione sarebbe di circa 37 euro per gli uomini e 31 euro per le donne.
La situazione peggiora ulteriormente per chi inizia a versare contributi più tardi: per chi si iscrive a 40 anni, la rendita mensile scenderebbe a soli 22 euro per gli uomini e 18 euro per le donne. Questi importi, definiti irrisori dagli esperti, evidenziano la debolezza della proposta nel garantire una pensione che offra una reale sicurezza economica.
Obbligo TFR al fondo pensione: altri numeri
Anche con un reddito più elevato, i risultati non sono incoraggianti. Per chi guadagna 20.000 euro lordi all’anno e inizia a versare contributi ai 30 anni, la rendita pensionistica sarebbe di circa 74 euro per gli uomini e 62 euro per le donne. Questi valori, pur leggermente superiori rispetto a quelli dei redditi più bassi, restano comunque insufficienti per sostenere un tenore di vita dignitoso dopo il pensionamento. Se si posticipa il versamento ai 40 anni, la situazione peggiora ulteriormente, con importi che scendono rispettivamente a 44 euro per gli uomini e 37 euro per le donne.
Infine, per i lavoratori con un reddito annuo di 30.000 euro, le rendite pensionistiche derivanti dal TFR destinato ai fondi pensione sono ancora una volta lontane da garantire una pensione sufficiente. Anche in questo caso, per chi inizia a contribuire a 30 anni, la rendita mensile sarebbe di circa 112 euro per gli uomini e 93 euro per le donne. Posticipando l’iscrizione a 40 anni, le cifre scendono ulteriormente, rispettivamente a 67 euro per gli uomini e 55 euro per le donne.
TFR al fondo pensione: la penalizzazione delle donne
Un aspetto particolarmente preoccupante dell’ipotesi di destinare parte del TFR al fondo pensione è la penalizzazione che subirebbero le donne. Nonostante già oggi esistano disuguaglianze di genere in ambito lavorativo e previdenziale, questa misura rischierebbe di accentuarle ulteriormente.
A causa di carriere lavorative più frammentate e della maggiore incidenza del part-time tra le donne, le loro rendite pensionistiche risultano già inferiori rispetto a quelle degli uomini. Con l’obbligo di destinare una quota del TFR ai fondi pensione, le donne si troverebbero ancora più svantaggiate, ricevendo importi pensionistici più bassi rispetto ai colleghi uomini a parità di reddito.
Il TFR come ammortizzatore sociale
Uno degli argomenti principali contro l’obbligo di destinare il 25% del TFR al fondo pensione riguarda la funzione che il TFR ricopre attualmente per molti lavoratori. In particolare, per chi ha contratti precari o intermittenti, il TFR rappresenta una sorta di paracadute economico tra un impiego e l’altro, una riserva che può essere utilizzata in momenti di difficoltà.
Imponendo il trasferimento forzato di una parte del TFR alla previdenza complementare, si toglierebbe ai lavoratori la possibilità di utilizzare queste risorse in modo flessibile, limitandone l’autonomia finanziaria e potenzialmente mettendo a rischio la loro capacità di far fronte a periodi di disoccupazione o emergenze economiche.
La sostenibilità del sistema pensionistico
L’attuale sistema pensionistico italiano si trova di fronte a sfide significative, e l’ipotesi di obbligare i lavoratori a destinare parte del TFR ai fondi pensione non sembra essere la soluzione ottimale. Le cifre fornite dagli studi condotti, infatti, dimostrano che gli importi aggiuntivi derivanti da questa misura sarebbero troppo bassi per incidere realmente sulla sostenibilità del sistema.
Inoltre, la soglia di accesso alla pensione anticipata richiede importi mensili ben superiori a quelli che si otterrebbero con il versamento del 25% del TFR ai fondi pensione. Dal 2024, per accedere alla pensione anticipata a 64 anni, sarà necessario raggiungere un importo mensile pari a tre volte l’assegno sociale, cifra che è passata da circa 1.300 euro nel 2022 a oltre 1.600 euro nel 2024. Le rendite derivanti dal TFR destinato ai fondi pensione non sarebbero sufficienti a colmare questo divario.
Prospettive future
Piuttosto che obbligare i lavoratori a destinare parte del TFR al fondo pensione, sarebbe forse più utile promuovere una maggiore adesione volontaria alla previdenza complementare, magari attraverso maggiori incentivi fiscali o contributi da parte dello Stato. Inoltre, una riforma strutturale del sistema pensionistico che tenga conto delle nuove dinamiche del mercato del lavoro e delle esigenze di sicurezza economica delle diverse categorie di lavoratori appare sempre più urgente.
In conclusione, l’ipotesi di destinare il 25% del TFR ai fondi pensione solleva più domande che risposte. Nonostante le buone intenzioni alla base di questa proposta, le sue conseguenze pratiche rischiano di essere dannose per molte categorie di lavoratori, specialmente quelli con redditi più bassi e le donne. Occorre quindi un dibattito approfondito su come garantire un futuro previdenziale dignitoso e sostenibile per tutti, tenendo conto delle esigenze specifiche di ogni lavoratore e lavoratrice.
Riassumendo
- L’obbligo di destinare il 25% del TFR ai fondi pensione è considerato inadeguato.
- Le rendite pensionistiche derivanti da questa misura sarebbero troppo basse per garantire sicurezza economica.
- Le donne subirebbero ulteriori svantaggi a causa di carriere lavorative frammentate e part-time.
- Il TFR funge da ammortizzatore sociale per i lavoratori precari tra un impiego e l’altro.
- L’importo pensionistico non coprirebbe la soglia di accesso alla pensione anticipata aumentata nel 2024.
- È necessaria una riforma pensionistica strutturale e incentivi per la previdenza complementare volontaria.