E’ passata in sordina in Italia una notizia che riguarda i nostri vicini di casa svizzeri. Domenica scorsa, al referendum è passata una proposta dei sindacati per introdurre la tredicesima a favore dei pensionati. Un altro quesito sull’innalzamento dell’età pensionabile a 66 anni è stato, invece, bocciato. L’aumento dell’assegno è passato con oltre il 58% dei votanti e in 16 cantoni su 26. Quanto accaduto ha molto a che vedere anche con noi italiani, perché ci fa capire ancora più chiaramente la ragione per la quale da molti anni tutti i governi che si sono succeduti (e di tutti i colori politici immaginabili) abbiano parlato di tagliare le tasse essere mai arrivati neanche lontanamente vicini al punto.
Sulle pensioni svizzere sconfitti i più giovani
In Svizzera, è stata la prima volta che i cittadini si sono espressi a favore del potenziamento della previdenza obbligatoria pubblica, nota come AVS e sorta nel 1948. E c’è una ragione. Ad avere votato per la tredicesima sono stati il 78% degli over 65, il 68% di coloro che hanno un’età compresa tra 50 e 64 anni e appena 40% degli under 35. Se fosse stato per la popolazione più giovane, non se ne sarebbe fatto nulla. I pensionati e coloro che si ritengono anagraficamente vicini al pensionamento, invece, si sono dati l’aumento.
Perfettamente logico che sia così, anche se il problema d’ora in avanti sarà per lo stato alpino come trovare i 4,3 miliardi di franchi svizzeri necessari per finanziare la misura. Già si parla di aumentare l’Iva, già salita a gennaio all’8,1%, nonché i contributi previdenziali dello 0,8% e di tagliare spese come i finanziamenti in favore dell’estero. Qualcuno propone di introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie, nota come “Tobin tax”.
Over 60 35% dei votanti in Italia
E cosa c’entra questo con le tasse in Italia? Più di quanto pensiate.
In Italia, se vogliamo è peggio. Da noi gli over 60 valgono il 30% della popolazione, gli over 50 circa il 46%. Il peso elettorale di coloro che sono in età di pensione o vicini supera il 36%. Non è casuale che da decenni non riusciamo a tagliare la spesa per le pensioni, che nel 2023 si è attestata al 15,2% del Pil, qualcosa come oltre 317 miliardi di euro. E’ di gran lunga la prima voce di bilancio dello stato. Nessuno vuole chiaramente toccare i sacrosanti assegni percepiti da chi è in pensione, ma anche il solo razionamento della spesa appare un fatto quasi impossibile per le dure resistenze dei diretti interessati.
Pochi pagano gran parte delle tasse
E senza ridurre la spesa non è possibile tagliare le tasse. Questione puramente matematica. A proposito di tasse. Il 14% scarso dei contribuenti che dichiarano redditi almeno pari a 35.000 euro lordi all’anno, incide per il 62,52% del gettito Irpef. Si tratta di una estrema minoranza che paga i servizi per tutti. E qual è la ricompensa che offre loro lo stato? Escluderli da ogni beneficio fiscale e contributivo. Anche in questo caso, vale la legge dei numeri: poiché il voto di chi tira la carretta vale quanto quello di chi vive di soli sussidi, nessun governo può sbilanciarsi al punto da preferire nitidamente i primi ai secondi.
I soli pensionati in Italia sono più di 16 milioni e 100 mila, il 35% di coloro che hanno diritto al voto sul territorio nazionale. Ingenuo pensare che la loro opinione conti quanto quella di qualsiasi altra classe di età. Prendete un under 30: va a votare poco e non ha ben chiaro per quale tema specifico. Un settantenne va a votare perlopiù con l’intento (più che legittimo) di tutelare la propria pensione. I partiti politici (tutti) ne devono tenere conto, a meno di non voler perdere le elezioni per immolarsi sull’altare della gloria.
Spesa pubblica pagata da una minoranza
Avete capito perché non si possano mai tagliare le tasse, se non per briciole o spostando qualche balzello da destra a manca? “Non ci sono i soldi” è la frase perfetta per un popolo disposto a crederci. La verità è che i soldi ci sarebbero, eccome. L’anno scorso, la spesa pubblica è stata del 55% del Pil. Prima del Covid, era meno del 49%. E pensate che veniva considerata già altissima. La pandemia è servita per fare spandi e spendi. Anche al netto della spesa per interessi, lo stato italiano impegna più della metà della ricchezza prodotta dai suoi cittadini. Pensate che non abbia modo di risparmiare qualche denaro per tagliare le tasse? Certo che lo avrebbe. Basterebbe anche solo tornare ai livelli di qualche anno fa.
Il problema è stato sopra spiegato. Tagliare le tasse significherebbe ridurre la spesa pubblica, che va a beneficio di una maggioranza di cittadini sotto forma di sussidi, servizi semi-gratuiti e lavoro pubblico. Il governo dovrebbe mettersi contro i più per beneficiare una minoranza, che non è neanche detto che lo sosterrebbe elettoralmente. Spinge di più a votare un beneficio perduto, anziché uno ricevuto o prospettato. Peraltro, chi oggi si azzardasse a tagliare le tasse ai redditi sopra 35 o 50 mila euro, verrebbe accusato di “favorire i ricchi“.
In gioco non ci sono solo le tasse
Se persino la democratica e funzionante Svizzera è caduta sotto i colpi della demografia, qualche domanda ce la dobbiamo porre, anche perché il problema è diventato globale. Nessun governo occidentale da anni sembra più in grado di scegliere tra priorità, scaricando sulle generazioni future i costi delle non scelte in forma di debito pubblico crescente. In gioco non c’è solo la capacità di tagliare le tasse, bensì la convivenza pacifica tra democrazia e libertà. Abbiamo dato per scontato che le due cose vadano a braccetto, mentre sta attecchendo in misura crescente la famosa “dittatura della maggioranza”. Ai seggi, conta il numero delle schede. Poco importa se i più decidano sulle spalle di chi non ha e né avrà i numeri per fare valere la loro opinione.