L’assegnazione dell’incarico al prossimo premier, quasi certamente Giorgia Meloni, avverrà con ogni probabilità nell’ultima decade di ottobre. La formazione del nuovo governo di centro-destra sarebbe veloce, vista la maggioranza assoluta netta di cui la coalizione gode in entrambi i rami del Parlamento. Ma già da ieri si rincorrono voci sulla lista dei presunti futuri ministri. Il gotha dei partiti della nuova maggioranza discute anche delle misure da mettere in atto per reagire alla grave crisi energetica di questi mesi, sfociata nel caro bollette.
L’idea fondamentale del suo programma elettorale è stata la svolta “produttivista”. Sebbene Fratelli d’Italia non ami il termine, esso ne descrive meglio di altri il taglio “ideologico” alla base del futuro governo, riassunto in vari comizi da Meloni con una battuta saliente. “lo stato non deve rompere le scatole a chi produce”. Un’idea certamente non nuova per il centro-destra italiano, intento sin dal 1994 a rappresentare i ceti produttivi. Come?
Taglio delle tasse per famiglie e imprese
Il taglio delle tasse è fondamentale per Meloni, ma a differenza della Lega di Matteo Salvini, la premier in pectore ritiene che non debba minacciare i conti pubblici. In altre parole, non può avvenire in deficit. E ciò significa anche che dovrà necessariamente essere graduale. Una prudenza fiscale che la spinge a sposare la linea della “flat tax incrementale”: aliquota unica (del 23%?) sui maggiori redditi dichiarati rispetto all’anno precedente. In questo modo, si incentiverebbe la crescita senza pesare sulle entrate. Una transizione verso la flat tax vera e propria, che si applicherebbe su tutti i redditi, compatibilmente con le condizioni fiscali dell’Italia. La tassazione seguirebbe il principio del quoziente familiare, in modo da favorire le famiglie più numerose.
Restando in tema di tasse, il cavallo di battaglia della Melonomics sarà il taglio del cuneo fiscale secondo il motto “più assumi e meno paghi”. Per Meloni le aziende sono gravate da un costo del lavoro eccessivo tra contributi INPS e INAIL, mentre la stessa IRPEF deprime le buste paga dei lavoratori. Riducendo questo gravame, si sosterrebbe l’occupazione. In più di un comizio, ha spiegato che da tempo ormai la crescita del fatturato non coincide più con l’aumento degli occupati, a causa delle delocalizzazioni e della robotizzazione crescente. Pertanto, l’impresa andrebbe incentivata ad assumere con una tassazione ridotta man mano che il fatturato per dipendente si abbassi.
Melonomics contro sussidi e per più investimenti
Sulle pensioni, la Melonomics punta su assegni più generosi per minime e invalidità. Ma non c’è alcuna promessa di portare le prime a 1.000 euro al mese, come proposto da Forza Italia. I conti pubblici non lo permetterebbero. Almeno parte delle risorse si troverebbero attingendo al reddito di cittadinanza. Il sussidio sarebbe limitato agli over 60, ai disabili e ai nuclei familiari con figli minorenni. Per tutti gli altri sarebbe sostituito da un incentivo a frequentare corsi di formazione e riqualificazione.
Sempre nell’ottica di potenziare la produzione, Meloni vorrebbe aumentare gli investimenti in infrastrutture, al contempo snellendone le procedure e velocizzandone i tempi di realizzazione. Sì ai rigassificatori, alle trivellazioni per il gas, a qualsiasi iniziativa che vada nella direzione di garantire all’Italia autonomia energetica. Sul nucleare di quarta generazione non esisterebbe alcuna preclusione, anzi.
PNRR aggiornato e stop monopoli privati
Sostegno al Made in Italy anche tramite la fondazione di un liceo per istruire maestranze, nonché aiutando le aziende che esportando tramite la rete diplomatica italiana all’estero. Sì al PNRR, ma aggiornato per tenere conto della crisi energetica in corso.
Nessuna rendita di posizione sui mercati delle reti. Per questo, la Melonomics prevedrebbe che la rete TIM fosse scorporata dal servizio e resa pubblica. I soggetti privati entrerebbero così sul mercato in condizioni di perfetta uguaglianza, garantendo sufficiente concorrenza a favore dell’utenza. Infine, basta con la politica dei bonus. Saranno rimpiazzati da incentivi strutturali, come nel caso dell’edilizia. Probabilmente, il Superbonus per l’efficientamento energetico rimarrà definitivamente, ma sarà meno generoso per non gravare sui conti pubblici.