Se qualcuno aveva ancora dei dubbi e delle speranze, che il governo arrivasse al varo di una vera riforma delle pensioni nel 2024, adesso può mettersi in pace. Perché la NADEF, acronimo di Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanze, non ha fatto altro che confermare le ultime indiscrezioni. La riforma delle pensioni non ci sarà, almeno non nella seconda legge di Bilancio del governo Meloni. Dopo due manovre finanziarie quindi, nulla di nuovo, nemmeno la promessa di quota 41 per tutti riuscirà a vedere i natali.
“Buongiorno, sono un vostro assiduo lettore e volevo chiedervi se è vero che il governo per i prossimi anni preparerà una riforma che penalizzerà i pensionati come regole di calcolo delle pensioni. Se non ho sbagliato i calcoli, dovrei andare in pensione nel 2027 con 42 anni e 10 mesi di contributi o con poco più visto che sembra che proprio nel 2027 si alzeranno i requisiti. Ho capito che nel 2024 non ci sarà nulla di nuovo e mi chiedevo se era vero che magari tra 2025 e 2026 potrebbe nascere la quota 41 per tutti, ma contributiva. Volevo capire se magari grazie a questa misura potevo anticipare l’uscita e se ci rimetterei troppo visto che ho 20 anni di contributi già a fine 1995.
Ecco la vera riforma delle pensioni, tra 2025 e 2026 tutto potrebbe cambiare, ma come?
Il dubbio del nostro lettore è lecito ed anche la domanda non è fuori luogo se si parla di quota 41 per tutti. Anticipiamo dicendo che al momento la quota 41 per tutti è solo una semplice ipotesi. Perché la misura nel 2024 non sarà varata. Il governo viaggia su una strada stretta e con poche risorse a disposizione, e se c’era bisogno di conferma, questa è arrivata con la NADEF. Poche risorse che impongono dei calcoli da fare, a partire dal fatto che ogni intervento sulle pensioni deve essere low cost. Significa che non si può spendere troppo e che per varare novità serve che anche i pensionati partecipino alla spesa. Ma come? L’indirizzo che sta prendendo l’esecutivo è sempre il solito. Si va verso il calcolo contributivo della prestazione. Perfino la quota 41 per tutti che secondo i primi proponenti e i sindacati, dovrebbe consentire l’uscita per tutti con 41 anni di versamenti, dovrà per forza di cose guardare ad una limitazione di spesa. Se oggi questa necessità di risparmio è evidente, difficile prevedere che in futuro cambi qualcosa. Perché non si potranno certo varare misure che impattino pesantemente sui conti pubblici.
Calcolo contributivo la via per misure a basso costo per le casse statali
La dimostrazione di questa condizione in cui naviga l’attuale governo, che poi è la stessa con cui si sono interfacciati i governi precedenti, nasce anche da ciò che è stato fatto dal 2019 ad oggi. Perfino la quota 100, che per molti era una misura poco utilizzabile dalla massa, ha minato pesantemente i conti pubblici. Anche se non l’hanno sfruttata tutti i potenziali beneficiari, come si è arrivati alla sua scadenza triennale, è stata modificata prima inasprendo l’età, e arrivando alla quota 102 (che da 62 anni di età con 38 di contributi passò a 64 anni di età con 38 di contributi).
Il calcolo retributivo in fumo con le pensioni anticipate del futuro
Il ricalcolo contributivo della prestazione è una autentica penalizzazione che un contribuente trova nel momento in cui va in pensione. ma nasce dal fatto che il contribuente ha iniziato a versare contributi prima del 1996 che è l’anno di entrata in vigore del sistema contributivo. Evidente che per quanti hanno iniziato a versare dopo il 1995, nessuna penalizzazione si applica. Questo perché non c’è altra modalità di calcolo della pensione che non sia quella contributiva. Il nostro lettore però rischia di essere uno dei più penalizzati per ovvie ragioni. Perché ha oltre 18 anni di contributi antecedenti il 1996 e quindi, avrebbe diritto al calcolo retributivo fino al 2012. Evidente quindi che anche la quota 41 per tutti se venisse varata davvero con l’obbligo di accettare il calcolo contributivo in stile opzione donna, produrrebbe penalizzazioni. Produrrebbe quei tagli di assegno che penalizzano i lavoratori ma che fanno il gioco dello Stato, che risparmia dei soldi.