In un normale rapporto di lavoro tra dipendente e azienda, spesso gli interessi non coincidono. In un rapporto di lavoro subordinato, anche se la salute di un’azienda dovrebbe interessare sia i datori di lavoro sia i lavoratori dipendenti, si finisce spesso in situazioni conflittuali. E quando si parla di licenziamento, dimissioni e simili, non mancano le problematiche.
Per esempio, nel caso di interruzioni del rapporto di lavoro, i conflitti di interessi tra dipendente e azienda sono frequenti. Interrompere un rapporto di lavoro porta, come dicevamo, a uno scontro di interessi.
Ciò che conviene ai lavoratori dipendenti, infatti, spesso va contro l’utile del datore di lavoro. È proprio alla luce di questa dinamica che possiamo rispondere a un nostro lettore, che ci invia un quesito davvero interessante:
“Buongiorno gentili esperti, volevo chiedere se potete darmi una spiegazione su cosa sta accadendo con il mio datore di lavoro. L’azienda per cui lavoro da ormai 5 anni ha deciso, di fatto, di non avere più bisogno di me. A dire il vero, ultimamente le condizioni di lavoro sono peggiorate, al punto che anche io non ho molta voglia di proseguire con questo rapporto. Tuttavia, non sono stato io a chiedere di andarmene; sono loro che vogliono allontanarmi. Mi hanno detto di andare a firmare il licenziamento la settimana prossima. Ma che devo firmare? Un mio ex collega è già passato da questa situazione e mi ha avvisato che mi faranno firmare le dimissioni. Io so che con le dimissioni non posso prendere la disoccupazione. Perché, se vogliono licenziarmi, non lo fanno come regola vuole e invece usano questo stratagemma?”
Ecco perché il datore di lavoro che ti deve licenziare vuole che dai le dimissioni
Come anticipato, spesso in un rapporto di lavoro subordinato, quando si decide di interromperlo, l’interesse del datore di lavoro contrasta con quello del lavoratore.
Il lavoratore ha tutto l’interesse a evitare le dimissioni volontarie, come spesso abbiamo sottolineato in diversi articoli, perché in quel caso non si ha diritto alla Naspi. Se il lavoratore non ha ancora trovato un’altra occupazione, perdere la Naspi rappresenta un problema, poiché si tratta di un sostegno reddituale garantito dall’INPS a chi perde il lavoro in modo involontario. Il datore di lavoro, invece, ha tutto l’interesse che sia il dipendente a lasciare l’azienda. Il motivo ha un nome ben preciso: ticket licenziamento.
Il ticket licenziamento a carico del datore di lavoro, cos’è?
In attesa di eventuali novità o aggiornamenti di importo da parte dell’INPS, per comprendere quanto il datore di lavoro debba versare a titolo di ticket licenziamento, possiamo fare riferimento al funzionamento del 2024. Fino a dicembre, il datore di lavoro doveva pagare un importo pari a 635,67 euro per ogni anno di lavoro, fino a un massimo di 1.916,01 euro per rapporti con durata pari o superiore a 3 anni. Nello specifico, si tratta di 52,97 euro per ogni mese di anzianità di servizio.
Questo ticket licenziamento è un contributo interamente a carico del datore di lavoro, da versare in un’unica soluzione alla prima scadenza utile dopo l’interruzione del rapporto. In genere, si calcola in base al massimale di retribuzione e al limite di importo della Naspi. E corrisponde in misura pari al 41% di tale massimale.
Va corrisposto in tutti i casi di interruzione del rapporto da cui deriva per il dipendente il diritto all’indennità di disoccupazione (Naspi).
È dunque evidente che per il datore di lavoro il licenziamento di un dipendente, specie se con una lunga anzianità di servizio, risulti costoso. Probabilmente è proprio da qui che nasce la spinta a utilizzare le dimissioni. Anche quando è l’azienda (come nel caso del nostro lettore) a voler interrompere il rapporto.