Ecco quando andare in pensione prima non conviene e come verificare cosa si perde

Pensioni anticipate penalizzate, ecco perché anticipare l'uscita dal mondo del lavoro è penalizzante per tutti i lavoratori.
7 mesi fa
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Se la scelta su come andare in pensione fosse basata solo sull’età di uscita dal mondo del lavoro, dire sì alle misure di uscita anticipate sarebbe probabilmente inevitabile. Tuttavia, decidere quando andare in pensione comporta inevitabilmente la verifica del consueto rapporto costi-benefici.

Infatti, nel sistema pensionistico odierno, non esiste una misura che permetta un’uscita anticipata senza che ciò incida negativamente sull’importo delle pensioni. L’importo sarà infatti più basso se l’uscita avviene anticipatamente. Oggi analizzeremo i fattori che il lavoratore dovrebbe considerare al momento di scegliere se anticipare o meno la pensione.

I contributi versati e come incidono sulle pensioni anticipate

Che si tratti del sistema contributivo o di quello retributivo, il principio rimane: più si lavora e più si versano contributi, maggiore sarà l’importo della pensione percepita. Nel sistema retributivo, le pensioni sono calcolate in base alle ultime retribuzioni, mentre nel sistema contributivo, si basano sull’ammontare dei contributi versati.

Poiché i contributi sono proporzionali allo stipendio (più alto il salario, più alti i contributi), chi lavora più a lungo accumula una pensione maggiore. Una pensione con 40 anni di contributi è ben diversa da una con soli 30 anni. Di conseguenza, chi ha versato contributi per 40 anni riceverà un assegno più consistente rispetto a chi ne ha versati solo 30.

È ovvio, quindi, che anticipare l’uscita con 30 anni di contributi, per esempio con l’Ape sociale, comporta una netta penalizzazione dell’assegno rispetto a una carriera che prosegue fino al raggiungimento dei 67 anni.

Ecco quando andare in pensione prima non conviene e come verificare cosa si perde

Un altro fattore che rende l’assegno pensionistico più basso per chi esce anticipatamente è la questione dei coefficienti di trasformazione, che sono usati per convertire il montante dei contributi in pensione.

Questi coefficienti sono tanto meno favorevoli quanto più bassa è l’età anagrafica alla quale il lavoratore decide di lasciare il lavoro.

Di conseguenza, chi esce anticipatamente riceverà un trattamento inferiore a quello che avrebbe percepito normalmente, a causa dei coefficienti sfavorevoli.

Ad esempio, uscire a 65 anni comporta l’applicazione di un coefficiente del 5,352%, mentre uscire a 67 anni porta al 5,723%. Uscire a 65 anni significa quindi subire una doppia penalizzazione: primo, per il coefficiente meno favorevole e, secondo, perché si versano due anni in meno di contributi.

Le pensioni anticipate spesso sono penalizzanti

Parlando di calcolo degli importi, le penalizzazioni per chi anticipa l’uscita sono evidenti anche nelle misure disponibili. Queste prevedono penalizzazioni dell’assegno e regole di calcolo poco favorevoli, quasi fosse richiesto al lavoratore un sacrificio sull’altare della pensione anticipata.

Ad esempio, optare per la quota 41 per i lavoratori precoci piuttosto che per le pensioni anticipate ordinarie penalizza il lavoratore, perché permette di uscire con 41 anni di contributi, pari a un anno e 10 mesi in meno di contributi e di età più giovane. Con 41 anni di contributi, esiste anche la quota 103, ma alle penalizzazioni già citate si aggiungono quelle derivanti da questa misura.

Chi ha versato 41 anni di contributi ha una carriera abbastanza profonda nell’epoca retributiva e avrebbe diritto al calcolo retributivo più favorevole per i periodi fino al 1996, estendibile fino al 2011. Tuttavia, con la quota 103, queste regole non sono valide e l’intera pensione viene calcolata con il sistema contributivo, e in più, la pensione non può superare quattro volte l’importo del trattamento minimo.

Ape sociale e tutte le altre misure che prevedono tagli di assegno

L’Ape sociale è un trattamento anticipato accessibile a partire dai 63 anni e 5 mesi di età. Con un minimo di 30 o 36 anni di contributi. La pensione non può superare i 1.500 euro al mese e, per tutta la durata dell’anticipo fino ai 67 anni, non si riceve la tredicesima.

La pensione non si adegua all’inflazione e non si beneficia di erogazioni aggiuntive come maggiorazioni, quattordicesime o assegni familiari.

La mancata indicizzazione penalizza nettamente la pensione. Infatti, ogni anno, l’ISTAT registra l’inflazione e l’INPS aggiusta i trattamenti secondo un tasso provvisorio. Che quest’anno è del 5,4%, ma applicato in misura variabile a seconda dell’importo dell’assegno.

Opzione donna, tagli ingenti alla pensione, ma non è l’unica misura

Anche la pensione con opzione donna è interamente calcolata con il sistema contributivo. Le lavoratrici, sia del sistema vecchio che del nuovo, che escono con questa opzione a partire dai 58 anni per le dipendenti e dai 59 per le autonome, ricevono un trattamento penalizzato, basato su almeno 35 anni di contributi.

Lo stesso vale per le invalide, licenziate, caregiver. O coloro che affrontano crisi aziendali, che dal 2023 sono le uniche a poter lasciare il lavoro con questa misura. In conclusione, è evidente che lasciare il lavoro prima, per chi desidera massimizzare i benefici della propria carriera contributiva, risulta penalizzante.

Chi è vicino alla pensione con le regole ordinarie farebbe bene, se possibile, a continuare a lavorare nella maggior parte dei casi, soprattutto se è prossimo alla pensione anticipata ordinaria e potrebbe rinunciare solo a pochi anni di anticipo.

Giacomo Mazzarella

In Investireoggi dal 2022 è una firma fissa nella sezione Fisco del giornale, con guide, approfondimenti e risposte ai quesiti dei lettori.
Operatore di Patronato e CAF, esperto di pensioni, lavoro e fisco.
Appassionato di scrittura unisce il lavoro nel suo studio professionale con le collaborazioni con diverse testate e siti.

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