I nuovi interventi del governo contro il caro bollette confermano che per il premier Mario Draghi porre un argine al boom dei prezzi di luce e gas è diventata una priorità. Lo è per due ragioni: l’alta inflazione sta colpendo l’economia italiana, spingendo molte attività a chiudere temporaneamente per l’impossibilità di tenere testa ai costi delle bollette. Secondariamente, dopo essere uscito con le ossa rotte dalla mancata elezione a presidente della Repubblica, sa che il suo unico interlocutore reale resta il popolo italiano.
Draghi avrebbe voluto traslocare al Quirinale, conscio che governare nell’ultimo anno di legislatura sorretto da partiti in lotta continua tra loro sarebbe difficile per chiunque e sempre. Lo è particolarmente stavolta, dato che questa fase coincide con la restrizione delle condizioni monetarie e fiscali. La BCE si avvia a ridurre e finanche azzerare gli acquisti di bond, nonché ad alzare i tassi d’interesse. La Federal Reserve ha già avviato il “tapering” e alzerà i tassi da marzo. E la Commissione europea è tornata a segnalare ai governi che dovranno avviare il risanamento dei conti pubblici. Probabile che dal 2023, infatti, sia riattivato il Patto di stabilità. Torneranno in vigore, magari gradualmente, i limiti al deficit al 3% del PIL.
Sui mercati finanziari è già scattato l’allarme. Lo spread BTp-Bund è volato sopra 160 punti base, ai livelli più alti dal luglio 2020. Il rendimento a 10 anni ha superato la soglia dell’1,90%. Questione di tempo e supererà anche il 2%. Per Draghi è uno smacco. Da governatore della BCE, fu l’uomo che spense lo spread con il “whatever it takes”. Tutto vorrebbe, tranne che finire per essere ricordato come il premier bombardato dai mercati. Una sorte che spettò nel 2011 all’allora suo predecessore Silvio Berlusconi, sul quale è rimasta una macchia indelebile.
Il codice rosso per Draghi
Quale sarebbe la soglia di allarme oltre la quale lo spread segnalerebbe altissima tensione? Guardando il grafico degli ultimi dieci anni, notiamo che sia senz’altra critica quella dei 200 punti base. Sarebbe un primo campanello per Draghi. Tuttavia, il vero codice rosso scatterebbe sui 250 punti. In due occasioni si è verificato: quando Movimento 5 Stelle e Lega nel maggio 2018 avviarono le trattative per formare il governo “giallo-verde” e subito dopo il primo “lockdown” di marzo 2020 deciso dal governo “giallo-rosso” contro la pandemia. Ed esistono elevate probabilità che ciò accada nel corso dei prossimi mesi. Anzitutto, tra rallentamento dell’economia europea, alta inflazione e tensioni sull’Ucraina. Poi, c’è da fare i conti con le fibrillazioni politiche pre-elettorali. Per ottenere i fondi europei con il Pnrr serviranno riforme, quelle che i partiti non sono disposti a realizzare per non perdere consensi e clientele.
Verosimilmente, Draghi non aspetterebbe di essere rosolato a fuoco lento dai mercati. Non ci sarebbe bisogno per lui che lo spread puntasse a una soglia così elevata per lasciare Palazzo Chigi. Da esperto, saprebbe cogliere i segnali in tempo. Dalla sua, però, ha l’ex datore di lavoro: la BCE. Vuoi per spirito di riconoscenza verso Draghi, vuoi anche per la necessità di non fare deragliare la ripresa dopo la pandemia, l’attuale governatore Christine Lagarde farebbe quanto nelle sue possibilità per evitare un’eccessiva frammentazione dei mercati. Ergo, già con l’appropinquarsi alla soglia dei 200 punti, l’istituto inizierebbe ad agire per spegnere l’incendio con acquisti mirati di BTp consentitigli dal PEPP anche in fase di reinvestimento delle scadenze. Draghi eviterebbe la figuraccia e resterebbe (forse) capo del governo fino a fine legislatura.