La pensione di vecchiaia è il trattamento ordinario che tutti i lavoratori possono ottenere una volta raggiunta l’età pensionabile. Si chiama pensione di vecchiaia ordinaria perché è una misura strutturale del sistema previdenziale italiano e rappresenta un pilastro insieme alla pensione anticipata, che è indipendente dai limiti di età.
Un lavoratore che raggiunge i 67 anni può andare in pensione dopo aver completato il periodo minimo di carriera, che è di 20 anni di contributi. Tuttavia, non sempre è così, poiché esistono almeno due variabili che ci permettono di evidenziare come, per la pensione di vecchiaia, possano esistere tre diverse versioni, anche se è una misura ordinaria e aperta a tutti i lavoratori.
Pensione di vecchiaia ordinaria: ecco come funziona
Partiamo dalla misura standard: come dicevamo in premessa, per ottenere la pensione di vecchiaia ordinaria sono necessari 67 anni di età e 20 anni di contributi versati. Sono validi i contributi di qualsiasi tipo, inclusi quelli figurativi, da riscatto, volontari e così via. Una volta raggiunti i 20 anni di contributi e compiuti i 67 anni di età, dal 2019 è possibile andare in pensione.
Prima del 2019, si poteva andare in pensione sempre con 20 anni di contributi, ma a 66 anni e 7 mesi. Questa misura, sebbene sia strutturale, è strettamente legata alle aspettative di vita. Che possono modificare rapidamente i requisiti, almeno quelli anagrafici, come è accaduto nel 2019. Con l’aumento della vita media della popolazione, aumenta anche il rischio di un innalzamento dell’età pensionabile.
Infatti, dal primo gennaio 2019, a causa dell’aumento di cinque mesi legato all’aspettativa di vita, ai lavoratori è stato richiesto di raggiungere i 67 anni di età, invece dei precedenti 66 anni e 7 mesi, per poter andare in pensione di vecchiaia.
Pensioni di vecchiaia 5 mesi prima: ecco chi può farcela e a quali condizioni
Questo aumento di cinque mesi, però, non si applica ai lavoratori impiegati in mansioni gravose o usuranti.
Tuttavia, cambia il requisito della carriera contributiva necessaria per consentire a questi lavoratori di beneficiare di un vantaggio di cinque mesi sull’età pensionabile.
Non sono sufficienti 20 anni di contributi. Per questa forma di pensione anticipata, che straordinariamente rimane fissata a 66 anni e 7 mesi di età, sono necessari 30 anni di contributi versati. Inoltre, questi 30 anni di contributi devono essere tutti effettivi. Ovvero non si considerano i contributi figurativi, volontari o da riscatto.
Per i contributivi, le regole sono diverse e cambiano le età di uscita
Anche la data di inizio della carriera lavorativa è fondamentale per determinare le condizioni per la pensione di vecchiaia. I lavoratori che hanno tutti i loro periodi di contribuzione versati in epoca contributiva, cioè dopo l’introduzione della riforma Dini (e quindi dopo il 1995), devono soddisfare una condizione aggiuntiva per andare in pensione di vecchiaia.
Dal 2024, infatti, devono raggiungere un importo della pensione che non può essere inferiore a quello dell’assegno sociale. Considerando che l’assegno sociale nel 2024 è pari a 534,41 euro al mese, se il trattamento pensionistico risultante dal calcolo è inferiore a questa cifra, il lavoratore non potrà andare in pensione e dovrà rimandare la richiesta ai 71 anni di età.
A quel punto, i “contributivi puri” possono andare in pensione anche con soli 5 anni di contributi versati. Senza bisogno di raggiungere un importo minimo della prestazione. A dire il vero, nel 2024 la situazione per i contributivi puri è migliorata. Prima, infatti, il vincolo dell’importo minimo della prestazione era più alto rispetto a oggi.
In passato, la pensione di vecchiaia per i contributivi puri era concessa solo se l’assegno era pari a 1,5 volte l’assegno sociale. La situazione attuale è quindi nettamente migliore, anche se non elimina completamente il rischio che alcuni lavoratori rimangano senza pensione di vecchiaia.