Andare in pensione prima è sempre una cosa che molti lavoratori accetterebbero di buon grado senza alcun problema. Effettivamente se si fa un ragionamento relativo all’uscita dal mondo del lavoro, solo in relazione all’età, inevitabile trovare vantaggi dalle tante misure di pensione anticipata disponibili.
Misure su cui anche l’OCSE per esempio, ha gridato l’allarme perché permettono uscite molto prima di quando dovrebbero fare. E la spesa pubblica sale rischiando di fare implodere l’intero sistema. Ma a guardare bene le misure di pensionamento anticipato, soprattutto quelle in deroga alle ordinarie, il vantaggio che dovrebbe spingere molti a prendere il treno dell’uscita anticipata dal lavoro non sembra essere così netto.
Infatti, ecco tre valide ragioni per evitare di andare in pensione con le nuove misure dai 62 anni di età o oltre.
“Salve, sono Renata e sono una lavoratrice che vorrebbe sfruttare il ruolo da caregiver di mia madre con cui convivo, per andare in pensione. Ho appena compiuto 66 anni e nel 2023 ho completato 35 anni di contributi. Che dite, posso andare in pensione con Opzione donna?”
“Salve, sono un lavoratore con una lunga carriera alle spalle. Compio 62 anni di età tra qualche giorno e avendo superato i 41 anni di contributi, mi chiedevo se potevo accedere alla pensione con quota 103. Lavoro per una azienda specializzata in idraulica e impiantistica. Un lavoro che non mi risulta dia possibilità di andare in pensione prima perché non è usurante. Ma con la quota 103 non ci sono limiti di lavoro svolto, vero?”
Ecco tre valide ragioni per evitare il pensionamento anticipato con le nuove misure dai 62 anni di età
Due quesiti riportati sopra ed estrapolati dai tanti che ci arrivano in redazione sulle pensioni. Due diverse situazioni sia di genere che di età e requisiti. E per due diverse misure previdenziali oggi in vigore.
Il minimo comune denominatore per entrambe le misure e per entrambi i quesiti è che a vedere bene, l’uscita dal lavoro per i lettori è da sconsigliare, salvo casi disperati per i quali non ci sarebbero alternative (perdita del posto di lavoro, completa assenza di reddito, necessità familiari e personali di lasciare il lavoro).
Infatti le due misure stando alla condizione attuale dei due lettori, sono altamente penalizzanti e forse controproducenti. Si tratta di due misure duramente penalizzanti sia come struttura che come regole di calcolo della prestazione.
Opzione donna, ad una certa età forse meglio temporeggiare
Per esempio, Opzione donna è una misura che fin dal suo varo è stata contributiva. Significa che a prescindere dalla data in cui una lavoratrice ha iniziato a versare contributi (e di qualsiasi genere, compresi i figurativi), il calcolo della pensione è sempre con il sistema meno favorevole.
Il metodo contributivo infatti penalizza in maniera forte le lavoratrici che hanno tanti anni di contributi versati nel sistema retributivo. parliamo del periodo precedente l’entrata in vigore della riforma Dini, e quindi prima del 1996. Chi ha molti anni prima di questa data, rischia di perdere oltre il 30% di pensione. Soprattutto quelle che al 31 dicembre 1995 possono vantare già 18 o più anni di contributi. Perché con le pensioni ordinarie queste lavoratrici avrebbero diritto al calcolo retributivo della pensione per tutti i periodi fino al 2012.
Riducendo a poco più di 12 anni il periodo su cui applicare il calcolo contributivo e penalizzante della pensione. La nostra lettrice che ha già 66 anni di età farebbe bene a rimandare i discorsi sulla pensione. Si trova infatti ad un anno esatto dal compimento dei 67 anni di età. Potrebbe andare in pensione nel 2025 senza anticipi, passando dalla pensione di vecchiaia ordinaria che non ha vincoli di calcolo della prestazione.
Anche la quota 103 è contributiva
Un discorso analogo può riguardare i lavoratori che, come il secondo nostro lettore, puntano alla nuova quota 103 per lasciare il lavoro. Lui ha ragione a sostenere che il lavoro che svolge non da diritto a scivoli usuranti e nemmeno alla quota 41 per i precoci. Queste due misure sarebbero vantaggiose anche come calcolo della pensione, dal momento che prevedono il meccanismo misto (retributivo e contributivo come spiegato prima). Con la quota 103 invece il calcolo è contributivo.
Questa è la novità introdotta recentemente per la misura. Infatti fino al 31 dicembre scorso, con la quota 103 valida nel 2023, il calcolo della prestazione era misto. Adesso invece è diventato contributivo. Questo significa che chi lascia il lavoro per il tramite della quota 103 nel 2024 subirà le stesse conseguenze di chi ha da tempo sfruttato per esempio, Opzione donna. Penalizzazioni profonde delle prestazioni, che restano a vita a carico di chi sfrutta questi canali di uscita agevolati come età ma penalizzanti per tutto il resto.
Anche nel caso del secondo lettore, trovandosi già ad aver superato i 41 anni di contributi, resistere al lavoro fino ai 42 anni e 10 mesi, potrebbe essere la soluzione migliore. In questo caso lui andrebbe in pensione con le anticipate ordinarie, pensioni che hanno nel calcolo misto la loro base.
Occhio a tutte le limitazioni delle misure di pensionamento anticipato
Tra l’altro per molte misure previdenziali oltre alle regole di calcolo vanno verificate eventuali altre limitazioni. Un esempio può essere proprio la quota 103 che come tutti sanno, ha un importo limite di pensione che non si può oltrepassare e che dura fino alla fine dell’anticipo (fino ai 67 anni di età).
Infatti la pensione con quota 103 non può superare per chi esce nel 2024 maturando quest’anno i requisiti, le 4 volte il trattamento minimo. Chi nel caso ha diritto ad una pensione più alta, rischia di prenderla tagliata per molti mesi. Stesso discorso per il divieto di cumulo tra redditi da lavoro e redditi da pensione che sempre per la quota 103 si applica per tutta la durata dell’anticipo.
In pratica chi esce dal lavoro con quota 103 e con l’Ape sociale, fino ai 67 anni di età non potrà svolgere attività di lavoro ne autonoma e nemmeno da dipendente, fatta eccezione per il lavoro autonomo occasionale. Si tratta di lavori saltuari che comunque non devono eccedere i 5.000 euro di reddito per anno solare.
Pure l’Ape sociale ha le sue problematiche, anche se a termine
Limitazioni e vincoli per le misure di pensionamento anticipato. Non ci sono misure che consentono di accedere prima alla quiescenza, senza rimetterci qualcosa. Innanzi tutto perché chi lascia il lavoro non fa altro che bloccare pure i contributi da versare. E meno contributi si traduce inevitabilmente in meno pensione.
Oltretutto, per le regole di calcolo basate sui coefficienti di trasformazione, il proprio montante contributivo viene ridotto in misura tanto maggiore quanto più giovani si lascia il lavoro. E alle penalizzazioni fisse della misura si aggiungono altre che sono specifiche in base allo strumento previdenziale. Per esempio pure l’Ape sociale è ricca di vincoli che molti non considerano e che potrebbero rendere l’anticipo meno vantaggioso.
L’anticipo pensionistico sociale non prevede la corresponsione degli assegni per il nucleo familiare di chi magari ha la moglie a carico. E non prevede nemmeno le maggiorazioni sociali per chi ne avrebbe diritto. Senza considerare che l’Ape non può in nessun caso superare i 1.500 euro al mese e non si indicizza all’aumento del costo della vita anno dopo anno come invece capita alle altre prestazioni.
Inoltre, si tratta di una prestazione che non è reversibile. In caso di decesso del beneficiario, il suo coniuge o eventualmente altri familiari, non hanno diritto alla reversibilità. Si tratta di limitazioni queste che comunque non durano tutta la vita e si fermano al compimento dei 67 anni di età.