Il nuovo governo in Siria dovrà ricostruire un’economia distrutta da 13 anni di guerra civile

In Siria non c'è più economia dopo 13 anni di guerra civile. Pil collassato e prezzi esplosi, mentre il cambio non vale più nulla.
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L'economia in Siria è stata spazzata via dalla guerra
L'economia in Siria è stata spazzata via dalla guerra © Licenza Creative Commons

Canti e balli nelle principali città liberate dalle forze islamiste. Il regime di Bashir al-Assad non esiste più. La popolazione avverte un senso di libertà dopo decenni di oppressione e soffocamento. Ma si fa presto a parlare di pace e di fine della dittatura. Le Primavere Arabe invitano all’estrema prudenza. Finora c’è un’unica certezza: l’economia della Siria è stata spazzata via da oltre 13 anni di sanguinosissima guerra civile. E ricostruirla per il nuovo governo sarà molto difficile. Tanto per iniziare, mancano persino i principali dati statistici che consentano di avere il polso della situazione.

Numeri non aggiornati, spesso anche da anni e che impediscono ogni capacità di misurazione dei risultati.

Economia in Siria in caduta libera con guerra civile

Per prima cosa, le dimensioni dell’economia in Siria si sono ridotte dell’85%. Il Pil pro-capite vale poco più di 400 dollari, quasi 100 volte in meno rispetto all’Italia. Ad essere saliti sono i prezzi al consumo, di tantissimo: +13.110% tra il gennaio del 2012 e l’aprile scorso. Il costo della vita è esploso contestualmente al crollo del cambio. Pensate che per 1 dollaro prima della guerra civile servivano appena 47 lire, mentre nei giorni scorsi ne sono arrivate a servire fino a 25.000 nella città di Aleppo sul mercato nero.

Produzione di petrolio quasi azzerata

Il capo dei ribelli, Mohammed al-Jolani, ha voluto che il nuovo primo ministro fosse Mohammed al-Bashir. Ricostruire l’economia in Siria sarà un compito tutt’altro che agevole. La produzione di petrolio sfiorava i 400.000 barili al giorno prima della guerra. Adesso, si è ridotta sotto i 100.000 barili al giorno. Su una popolazione di 25 milioni di abitanti, quasi 5 milioni sono i profughi all’estero, di cui 3 milioni al confine turco. E ben 7 milioni sono sfollati all’interno del territorio nazionale. Una situazione devastante.

Mentre l’economia della Siria piombava a terra, veniva saccheggiata dall’ex regime.

Si stima che il clan degli Assad abbia accumulato ricchezze fino a 2 miliardi di dollari. Di queste, almeno parte è stata investita in immobili in Russia, dove la famiglia dell’ex dittatore e i suoi familiari più stretti hanno già ricevuto asilo politico. Ma qualche spunto positivo esiste. Il cambio è tornato a rafforzarsi contro il dollaro sui mercati delle principali città dopo la caduta di Assad. Ad Aleppo è passato da 25.000 a 16.500 lire per 1 dollaro: +33%.

Molti profughi tornano in patria

E un altro aspetto interessante riguarda proprio i profughi. In migliaia dalla Turchia stanno già tornando nelle loro città di origine, anche se probabilmente non troveranno più una casa. Molti altri stanno aspettando di capire il momento esatto in cui sarà garantita maggiore sicurezza. Chi era rimasto, invece, si sente già più libero. Molti hanno preso d’assalto i forni locali per comprare il pane, cosa che fino a pochi giorni fa non avveniva liberamente. Serviva mettersi in fila davanti ai forni indicati nelle tessere annonarie e si potevano acquistare solo le quantità indicate.

L’economia in Siria non si rimetterà in piedi dall’oggi al domani. Resta da capire quale strada voglia battere il nuovo regime. Gli islamisti vogliono mostrarsi meno radicali di come temiamo che siano in Occidente. Ci tengono per ora a fare capire che siano una cosa diversa dai talebani in Afghanistan o dall’ISIS degli anni passati. Servirà loro anche un cambio di alleanze internazionali per attirare capitali dall’estero. Sauditi, emiratini e occidentali non vi investiranno un centesimo se Damasco restasse sotto l’egida di Iran e Russia, cosa che sembra altamente improbabile.

Economia in Siria sotto embargo

Un allentamento delle sanzioni o la loro cessazione per il momento non è lo scenario di base. Per gli Stati Uniti ufficialmente i ribelli siriani sono un’organizzazione terroristica.

Dovranno dimostrare di essere cambiati o l’embargo resterà in vigore. E fintantoché non sarà ritirato, l’economia della Siria non potrà avviare quel percorso di ricostruzione per uscire dal lungo tunnel della guerra. Embargo significa tra l’altro niente prestiti di Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale. Se i ribelli saranno scaltri, eviteranno di ripetere gli errori commessi dai loro predecessori nelle varie Primavere Arabe.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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