La scorsa primavera, quando la crisi energetica si abbatteva sull’economia italiana con l’inizio della guerra tra Russia e Ucraina, il premier uscente Mario Draghi rassicurò tutti sulla tenuta del PIL. La scorsa settimana, dopo avere constatato il fallimento di tutti i vertici europei contro il caro energia, ha profetizzato la recessione, addebitandola agli egoismi nazionali del Nord Europa. Nella Nota di aggiornamento al DEF, la prospettiva di una crescita zero per l’Italia si fa concreta. Per il 2023, la nostra crescita crollerebbe dal 3,4% di quest’anno allo 0,6%.

E anche il Centro studi di Confindustria inizia a lanciare messaggi poco rassicuranti: il PIL l’anno prossimo potrebbe ristagnare a causa dello shock negativo sui consumi della crisi energetica. Gli stessi risparmi non saranno in grado di compensare gli aumenti dei prezzi per le famiglie, così come gli investimenti arrancheranno per effetto delle peggiori prospettive economiche.

Caro bollette, pochi aiuti dello stato

Siamo passati dal boom del PIL dopo il collasso provocato dalla pandemia alla crescita zero come migliore degli scenari possibili. Il non detto di governo e parti sociali, infatti, è che l’Italia nel corso del 2023 rischia davvero grosso. Con un’inflazione esplosa al 10% nell’Eurozona, la BCE non può fare altro che alzare i tassi d’interesse. La stretta monetaria colpirà imprese e famiglie nel momento in cui avrebbero più bisogno di sostegno. Questi non potrà arrivare, se non limitatamente, neppure dal governo. I conti pubblici sono quel che sono, indebitarci ulteriormente è diventato quasi proibitivo per via dell’aumento del costo di emissione dei BTp.

Il Fondo Monetario Internazionale nei giorni scorsi ha invitato i governi a concentrare gli aiuti sulle categorie più deboli. Niente aiuti a pioggia, perché devasterebbero i conti pubblici e finanzierebbero la speculazione finanziaria, al contempo riducendo le probabilità che la stretta sui tassi delle banche centrali si riveli efficace.

Più che la crescita zero, a spaventare la premier in pectore Giorgia Meloni è lo scenario di una recessione disordinata.

In assenza di grossi aiuti, milioni di famiglie combatterebbero contro il caro bollette a mani nude. Molti pagamenti di utenze sarebbero saltati e d’altra parte molte attività sospenderebbero la produzione, come già stanno facendo, o chiuderebbero battenti per sempre. Centinaia di migliaia di posti di lavoro sono a rischio. Contrariamente a quanto accadde con la pandemia nel 2020, i sostegni pubblici sarebbero limitati. Non c’è alcun soccorso europeo in progetto. Ognuno dovrà arrangiarsi da sé, vale a dire sulla base delle disponibilità fiscali nazionali. Allora la BCE iniettò liquidità per neutralizzare l’esplosione dei debiti e renderli a costo zero, mentre oggi fa l’esatto contrario.

Più che crescita zero spaventa ritorno ad anni Settanta

Lo spettro di una protesta sociale diffusa e dai connotati finanche violenti avanza. Anche perché non si respira più aria di unità nazionale. I partiti sono appena usciti dalla campagna elettorale e il centro-destra torna al governo dopo undici anni. Sindacati e sinistra puntano a ricaricarsi dopo oltre un decennio di “appeasement” e di allontanamento dalle piazze. I “grillini” neo-contiani non sono da meno. La collaborazione tra le forze in Parlamento sarà scarsa e limitata eventualmente alle misure più immediatamente di sostegno all’economia e super partes.

L’Italia visse già una situazione simile negli anni Settanta, che rievocano tristi ricordi nella memoria nazionale. Fu il periodo delle piazze insanguinate e del terrorismo di matrice rossa, a cui si contrappose quello nero. Centinaia di morti e disordini nelle principali città, proprio mentre infuriava il periodo più caldo della Guerra Fredda. Persino le condizioni esterne appaiono simili, pur in un quadro storico del tutto differente. E allora come oggi non vi era l’Unione Europea.

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