Accordo raggiunto tra Airbnb e fisco italiano. La piattaforma web attiva sul mercato degli affitti brevi verserà una somma di 576 milioni di euro per gli anni che vanno dal 2017 al 2021. Di questi, 353 milioni riguardano ritenute non versate, 174 milioni sono sanzioni amministrative e 49 milioni gli interessi. Manca ancora formalmente un accordo per il biennio 2022-2023, mentre dall’anno prossimo la società si è impegnata a trattenere la cedolare secca direttamente dagli importi corrisposti dagli affittuari ai clienti.

Affitti brevi, cosa cambia da gennaio

A novembre, la Guardia di Finanza aveva disposto il sequestro di 779 milioni per le suddette ritenute non versate.

Airbnb si era rifiutata di agire come sostituto d’imposta, ritenendo che spetterebbe allo stato riscuotere il dovuto. Dopo l’annuncio di ieri, ha chiarito che non cercherà di rivalersi sui clienti per il recupero delle somme che dovrà versare al fisco.

Cerchiamo di capire cosa accadrà dal prossimo mese, quando sugli affitti brevi la riscossione avverrà alla fonte. Anzitutto, non è solo Airbnb la piattaforma attiva su questo mercato. Pensate anche a Bookings.com. Ciò premesso, la Legge di Bilancio 2024 prevede alcune novità in materia. La cedolare secca resta al 21% nel caso in cui il proprietario lochi un solo immobile per gli affitti brevi, cioè di durata non superiore ai 30 giorni a favore dello stesso locatario. A partire già dal secondo immobile la cedolare secca sale al 26%. Diventa attività d’impresa dopo il quarto immobile. Dunque, a partire dal quinto il proprietario dovrà aprire partita iva e pagare le imposte in base alle aliquote previste.

Ritenuta cedolare secca al 21% per tutti

Poiché una piattaforma web non è in grado di accertare se l’immobile pubblicizzato sul proprio sito sia primo, secondo, terzo, ecc., la ritenuta sarà per tutti del 21%. Spetterà al proprietario, evidentemente in sede di dichiarazione dei redditi, versare al fisco il restante 5% sui canoni di locazione riscossi da un secondo immobile adibito agli affitti brevi.

Facciamo un esempio. Tizio ha due appartamenti che pubblicizza su Airbnb per affittarli ai turisti durante l’anno. Dal primo ricava canoni per 4.000 euro e dal secondo per 5.000 euro. La piattaforma trattiene il 21% di entrambi gli importi, rispettivamente 840 e 1.050 euro, ovviamente oltre alle commissioni dovute.

Tuttavia, sul secondo appartamento Tizio sarà tenuto da gennaio a versare al fisco il 26% e non più il 21%. Pertanto, sui 5.000 euro saranno dovuti 1.300 euro. In sede di dichiarazione dei redditi, dovrà pagare un saldo di 250 euro, la differenza tra la somma complessiva e quella già trattenutagli. A dire il vero, così com’è stata formulata la norma, se il proprietario mette sul mercato degli affitti brevi due o più immobili, la cedolare secca salirebbe al 26% anche sul primo. Esiste un emendamento della stessa maggioranza, però, che punta a ridurre l’aggravio dal secondo immobile.

Primo o secondo immobile a scelta del proprietario

E c’è un’altra novità, che potrà essere sfruttata questa volta a favore dei proprietari. Questi potranno decidere quale immobile considerare primo e quale secondo ai fini dell’imposizione fiscale. Torniamo all’esempio precedente. Il secondo immobile frutta di più e Tizio avrebbe tutto l’interesse a farlo passare come primo, così che la più alta cedolare secca del 26% gravi sull’altro immobile che rende di meno. Anziché 2.140 euro in tutto, pagherebbe 2.090 euro.

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