Se c’è stato un effetto tangibile dell’alta inflazione, questo si è tradotto l’anno scorso in una rivalutazione “maxi” del Trattamento di fine rapporto (Tfr) per i lavoratori dipendenti. Essa ha sfiorato il 10%, attestandosi al 9,97%. E per quest’anno? Per rispondere a questa domanda dobbiamo fare qualche premessa.

Cos’è e come funziona il Trattamento di fine rapporto

Il Tfr è quello che in gergo definiamo anche “salario differito”. In pratica, il datore di lavoro deve accantonare annualmente a favore del dipendente una quota dello stipendio annuale lordo.

Tale quota deve essere pari alla retribuzione complessiva, escludendo le componenti casuali e i rimborsi spese, suddivisa per 13,5. In altre parole, il Tfr deve corrispondere grosso modo a una mensilità dello stipendio.

Ogni anno, chiaramente è necessario procedere alla rivalutazione del Tfr accantonato fino alla fine dell’anno precedente. La ragione è ovvia: l’inflazione tende a deprimere il potere di acquisto e va recuperata. Tale rivalutazione per legge è uguale al 75% dell’incremento annuale dell’indice dei prezzi registrato nel mese di dicembre più l’1,50% fisso. Nel caso in cui il rapporto di lavoro cessasse nel corso dell’anno, il riferimento sarà al dato annuale dell’inflazione nel mese in cui sia avvenuta la cessazione.

Rivalutazione Tfr 2023, simulazione calcolo

E’ così che la rivalutazione del Tfr ha sfiorato il 10% nel 2022. A dicembre dello scorso anno, l’indice FOI di riferimento per il calcolo dell’inflazione al netto dei tabacchi per una famiglia di operai e impiegati fu di 118,2. Dodici mesi prima, era stato di 106,2. Dunque, l’incremento annuale risultò essere dell’11,3%. Il 75% di tale inflazione esitò circa l’8,47%. Sommando l’1,5% fisso, si è arrivati al 9,97%.

E quest’anno? A settembre, l’indice FOI per l’Istat era salito a 119,3. Se tale valore si mantenesse invariato fino a dicembre, la rivalutazione del Tfr nel 2023 sarebbe la seguente: ⌊(119,3 : 118,2) x 0,75⌋ + 1,5 = 2,20%.

In pratica, a indice dei prezzi costante fino alla fine dell’anno, la rivalutazione del Tfr sarebbe una frazione dello scorso anno. Se, invece, ipotizziamo molto più realisticamente che l’inflazione italiana a dicembre scenda al 3-4%, otteniamo una rivalutazione nell’ordine del 4% o anche più alta.

Fondi pensione battuti con l’inflazione

Non siamo quasi certamente ai livelli del 2022, ma d’altronde l’inflazione si è fortunatamente già dimezzata dai picchi di un anno fa. Ad ogni modo, rispetto agli aumenti anemici degli anni passati, l’incremento è destinato ad essere ben più sostanzioso. Nel quinquennio 2018-2022, la rivalutazione del Tfr è stata complessivamente del 20,4%, battendo di gran lunga i fondi pensione per effetto del tracollo dei mercati finanziari con la stretta globale sui tassi di interesse varata a partire dallo scorso anno. Nel lungo periodo, tuttavia, i fondi dovrebbero esitare rendimenti migliori.

La rivalutazione del Tfr è sottoposta a tassazione del 17% in capo all’impresa. Alla cessazione del rapporto di lavoro, il Tfr è ancora una volta sottoposto a tassazione separata, scontando un’aliquota Irpef sulla base dell’importo e degli anni di maturazione. Ricordiamo che il lavoratore può richiedere un anticipo fino al 70%, purché in possesso di almeno otto anni di anzianità di servizio in azienda e limitatamente a determinate esigenze di spesa: sanitarie, per l’acquisto della prima abitazione e quando si fruisce di un congedo parentale o formativo.

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