Quota 100 non sarà prorogata dopo quest’anno e il governo vuole scongiurare che i lavoratori ultra-sessantenni si ritrovino dinnanzi a uno “scalone” per andare in pensione. Ad oggi, l’alternativa sarebbe la pensione anticipata con 41 anni e 10 mesi di contributi per le lavoratrici dipendenti e 42 anni e 10 mesi per i lavoratori. In verità, esiste anche Opzione Donna, che consente alle lavoratrici di andare in quiescenza con almeno 30 anni di contributi e 58 anni di età, a certe condizioni.

Nelle ultime settimane, avanza proprio l’ipotesi di estendere questa misura e di ampliare la lista dei lavori gravosi con cui permettere il pensionamento prima dei 67 anni di età.

Ma gli economisti Tito Boeri e Roberto Perotti (il primo è stato presidente INPS fino a inizio 2019) hanno lanciato un’altra proposta: consentire ai lavoratori di andare in pensione a 63 anni.

Andare in pensione con il contributivo puro

L’idea dei due sarebbe di potenziare una misura che esiste già, ma che per le condizioni annesse riguarda una platea potenziale sparuta di lavoratori. Oggi come oggi è possibile andare in pensione già a 64 anni e con 20 anni di contributi, ma con l’assegno calcolato interamente con il metodo contributivo. Poiché esso risulta meno conveniente del calcolo retributivo, generalmente l’assegno risulterà più leggero. Tuttavia, possono accedervi solo coloro che potranno percepire con questo calcolo un assegno pari ad almeno 2,8 volte quello sociale.

Nel 2021, l’assegno sociale è di 460,26 euro mensili. Pertanto, i lavoratori potranno usufruire di questa scorciatoia per andare in pensione, a patto che riescano a percepire non meno di circa 1.290 euro al mese. Si tratta di un importo alla portata di pochi. L’intento del legislatore sarebbe di evitare che i futuri pensionati si ritrovino con assegni troppo bassi, finendo per vivere nell’indigenza. Nella proposta di Boeri-Perotti, si potrebbe andare in pensione anche a 63 anni e sempre con 20 anni di contributi, ma abbassando l’importo mensile unico così determinato a circa 1.000 euro.

Chiaramente, rispetto a un’ipotesi come quota 100, l’importo risulterebbe più basso. Infatti, più bassa l’età alla quale il lavoratore va in pensione, minore il coefficiente di trasformazione. Tenete conto che attualmente, a parità di contributi versati, il primo assegno a 67 anni risulta del 12% più alto di quello che sarebbe percepito a 63 anni. Siamo dinnanzi a una decurtazione media del 3% all’anno, almeno per questa fascia di età. La misura consentirebbe alle future generazioni di usufruire di una modalità flessibile con cui andare in pensione, a patto di accettare di percepire un po’ di meno per mezzo del calcolo attuariale.

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