Il ministro della Pubblica amministrazione, Fabiana Dadone, ha voluto rassicurare i lavoratori italiani sul mantenimento di quota 100 fino alla scadenza della fase sperimentale triennale, parlando semmai dell’introduzione solo successivamente di un correttivo, quale sarebbe quota 101. In altre parole, fino al 31 dicembre 2021 resterebbe in vigore la possibilità per il lavoratore di andare in pensione con almeno 62 anni di età e 38 anni di contributi, dal 2022 i requisiti minimi verrebbero innalzati di un anno per l’età anagrafica, fermo restando gli anni di contribuzione minima.

Il dibattito resta in divenire, mentre su un altro punto il ministro ha voluto essere chiaro: sarà presto reso attuativo il decreto del governo per consentire ai dipendenti pubblici di accedere al TFS in anticipo. L’art.23 del Decreto legislativo n.4/2019 stabilisce già da un anno che potranno ricevere la liquidazione subito dopo il pensionamento, attraverso un prestito bancario a titolo oneroso, ma a tassi limitati dal governo. Essi non potranno risultare superiori ai 30 punti base (0,30%) rispetto all’ultimo Rendistato pubblicato dalla Banca d’Italia prima della richiesta del beneficiario.

Tuttavia, affinché il decreto diventi effettivo, è necessario che il Ministero di economia e finanze pubblichi la lista delle banche aderenti all’iniziativa. E qua casca l’asino: dalla fine del maggio si attende questa pubblicazione, che non arriva e per un motivo abbastanza semplice: nessun istituto avrebbe dato la sua disponibilità, essendo i tassi d’interesse troppo bassi per risultare appetibili. In effetti, l’ultimo Rendistato relativo al mese di gennaio esita il tasso dello 0,828%, in pratica il rendimento medio ponderato dei titoli di stato italiani sul mercato secondario.

Anticipo TFS dipendenti pubblici, se conoscere la somma è diventato “abuso”

Costo dell’anticipo del TFS

Applicando il margine dello 0,30%, l’interesse annuo massimo che le banche potrebbero imporre sull’anticipo del TFS sarebbe dell’1,128% su base annua. Si consideri che le banche presterebbero con questa formula fino a un massimo di 45.000 euro, stando alle condizioni fissate dal decreto.

La restituzione da parte del pensionato può avvenire in un’unica soluzione, quando si riceverà la liquidazione da parte dell’ente pubblico, oppure ratealmente. Facciamo l’esempio di un dipendente statale di sesso maschile, che approfitta di quota 100 per andare in pensione a 62 anni esatti, munito di 38 anni di contributi.

Stando alla normativa in materia, egli percepirebbe il TFS a distanza di 24 mesi dalla data di maturazione del requisito della pensione di anzianità o di 12 mesi dopo quello per la pensione di vecchiaia. Nel primo caso, avrebbe bisogno di altri 4 anni e 10 mesi di contributi, nel secondo caso di altri 5 anni di età. Sommando i 12 mesi e i 24 mesi rispettivamente, si ottiene che il neo-pensionato dovrà attendere 6 anni per vedersi erogato il TFS, maturandone il diritto un anno dopo avere compiuto 67 anni. Se, invece, aspettasse due anni dalla data di maturazione del diritto alla pensione di anzianità, dovrebbe attendere quasi un anno in più.

Supponiamo che il prestito venga rimborsato in un’unica soluzione: il tasso dell’1,13%, su cui non viene applicata alcuna imposta e, anzi, il governo assicura che ne garantirà la detrazione ai fini Irpef, costerebbe 576 euro su una liquidazione di 45.000 euro, che moltiplicati per 6 anni farebbero 3.456 euro, circa il 7,7% della cifra ricevuta. Se, invece, il pagamento alla banca avvenisse tramite rate mensili dal mese successivo all’ottenimento del prestito, gli interessi ammonterebbero a circa 1.560 euro nell’arco del periodo, facendo risparmiare quasi 3.000 euro e gravando molto meno rispetto all’altra ipotesi, pur imponendo al pensionato il pagamento di una rata mensile di ben 647 euro, che non è detto sarebbe in grado di sostenere.

TFS senza anticipo, con quota 100 quando è possibile prenderlo?

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