Si avvicina la data delle elezioni presidenziali in Argentina, dove il nervosismo dei cittadini si coglie ormai quotidianamente sul mercato del cambio parallelo. Ieri, per acquistare un solo dollaro americano sono arrivati a servire 1.000 pesos. Si è trattato del rapporto più alto di sempre nella storia pur tragica del paese. In appena un mese, un crollo del 27%. E fa ancora più senso apprendere che, ufficialmente, il cambio resta fissato a 350 pesos per un dollaro dopo la mini-svalutazione di agosto.

Inflazione a tre cifre da febbraio

Sta succedendo che il sostegno alla moneta nazionale da parte della banca centrale stia venendo parzialmente meno per le calanti disponibilità di riserve valutarie.

Nel frattempo, è costretta ad emettere moneta per soddisfare le spese in deficit crescenti del governo peronista, a caccia di consensi per darsi un’altra possibilità per restare aggrappato al potere.

Al di là di tutto, gli argentini hanno capito che i pesos valgono carta straccia e, soprattutto, non sembrano avere un futuro. Stanno accorrendo a convertire i loro risparmi in dollari, facendo ricorso naturalmente al mercato nero. Lì è dove si trova la valuta pesante, mentre i canali ufficiali la offrono con il contagocce. Ad agosto, poi, l’inflazione è salita al 124,4%. E’ la settima volta consecutiva che supera la soglia del 100%.

Cambio Argentina, per Milei pesos neppure come concime

Sul cambio in Argentina si sono espressi i principali candidati alla presidenza, in vista del primo turno del 22 ottobre. A darsele di santa ragione sono stati da una parte Javier Milei, favorito dai sondaggi e candidato della destra anarco-capitalista anti-casta, e il ministro dell’Economia, Sergio Massa, in rappresentanza della coalizione peronista di centrosinistra. Patricia Bullrich tenta di accreditarsi quale unica alternativa reale al peronismo, in qualità di leader del centrodestra tradizionale.

Milei ha sostenuto in un dibattito televisivo che i pesos non valgono neppure come concime e ha invitato gli argentini a non rinnovare i contratti in scadenza denominati nella valuta nazionale.

Egli sostiene che, se diventasse presidente, eliminerebbe i pesos per rimpiazzarli con il dollaro americano. Sempre a tale fine, convocherebbe una seduta straordinaria del Congresso per abolire la banca centrale, che definisce un’istituzione inutile.

Esito elezioni Argentina determinante anche per geopolitica

Massa non è rimasto a guardare e ha duramente polemizzato su queste affermazioni, sostenendo che alimenterebbero la speculazione contro il cambio dell’Argentina. Ha altresì minacciato di mandare in galera “quei quattro” che ancora vendono dollari sul mercato nero, sentendosi rispondere a distanza da Carlos Melconian, ministro dell’Economia “in pectore” di Bullrich, che potrà incarcerare tutti quelli che vorrà, ma che questa situazione disastrosa l’abbia provocata proprio lui.

E’ probabile che dovremmo aspettare il ballottaggio di dicembre per capire chi sarà il nuovo presidente. E questa incertezza estrema sull’esito non fa che spingere le famiglie a cercare di mettere in salvo i risparmi. Almeno coloro che hanno ancora la fortuna di averli, visto che il 40% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Chi andrà a Casa Rosada determinerà anche sulla geopolitica del Sud America. Milei e Bullrich sono apertamente vicini all’Occidente, mentre Massa fa parte del governo che ha fatto da poco entrare il paese nei Brics, l’organizzazione guidata principalmente da Cina e Russia.

Milei favorito dai sondaggi, argentini esasperati

Più il cambio in Argentina sprofonda e più l’inflazione s’impenna. Ci sono oramai tutti i sintomi di quella che si definisce in economia iperinflazione, un brutto ricordo per gli argentini tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta. L’indice dei prezzi arrivò a crescere del 20.000%. Stremati da una crisi infinita e disillusi della classe politica, gli elettori starebbero premiando in misura crescente proprio Milei, il cui consenso si collocherebbe a ridosso del 35%.

Al secondo posto vi sarebbe Bullrich con una media stabile intorno al 27% e tallonata da Massa al 25%, anche se il trend di quest’ultimo risulta in brusco calo dopo la sconfitta alle primarie di agosto.

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