Gli stipendi degli italiani sono rimasti fermi negli ultimi decenni. Anzi, da un’indagine internazionale emerge che siano diminuiti del 3% in termini reali dal 1990. Altrove, come in Germania e Francia, sono aumentati di oltre il 30% nello stesso periodo. La necessità di aumentare lo stipendio esiste, ma è evidente che non possa avvenire a discapito dei margini aziendali. Serve tendere ad incrementi di produttività, un obiettivo piuttosto complicato in un’economia caratterizzata da alta burocrazia e tassazione, scarse infrastrutture fisiche e ridotta libertà d’ingresso su molti mercati.

E’ di questi giorni la notizia che Atlantia, la holding della famiglia Benetton, ha siglato un accordo con i sindacati che potrebbe diventare un modello di riferimento per le grandi aziende italiane. A tutti i dipendenti saranno offerte “stock option” come parte della retribuzione variabile. In pratica, i lavoratori diventeranno azionisti della società e potranno così beneficiare degli eventuali aumenti di produttività.

Le stock option sono diffuse in America, anche se perlopiù tra i manager. E’ grazie ad esse che numerosi dirigenti aziendali riescono a percepire emolumenti di finanche centinaia di milioni di dollari. In cosa consistono? Al manager o dipendente si assegna un pacchetto azionario a un dato prezzo e riscattabile dal titolare dopo un certo numero di mesi/anni o all’atto del suo addio all’azienda. Se il valore delle azioni sarà cresciuto, il beneficiario incasserà la differenza di prezzo, pagandovi solamente le imposte.

Aumentare lo stipendio con un secondo TFR

Perché le stock option sarebbero un modo indiretto per aumentare lo stipendio ai lavoratori? In genere, gli indici azionari tendono a salire nel lungo periodo. Se il dipendente è anche azionista, beneficerà del trend positivo in borsa e otterrà negli anni una maggiorazione retributiva. In sostanza, come un secondo TFR, ma potenzialmente dai rendimenti molto maggiori. E le stesse imprese beneficerebbero di questo modello.

Il dipendente-azionista s’identificherà con l’azienda e sarà incentivato a diventare più produttivo per far salire il titolo in borsa e guadagnare di più.

Pensate che negli ultimi 30 anni la borsa americana è cresciuta del 1.360%, a fronte di un’inflazione cumulata di neppure il 105%. Se i dipendenti americani fossero stati retribuiti interamente tramite le stock option, i loro stipendi sarebbero cresciuti al ritmo medio del 9% all’anno, anziché del 3,3%. In Italia, la situazione si mostra meno rosea. Attualmente, l’indice FTSE MIB guadagna circa il 23% da inizio anno. Tuttavia, resta inferiore ai livelli di inizio 1998, ben 24 anni fa. In pratica, i lavoratori italiani rischiano di non beneficiare negli anni neppure dalla corresponsione di parte della loro retribuzione tramite stock option.

In effetti, questo modello non può essere la panacea di tutti i mali. Se un’azienda non incrementa gli utili, il suo valore in borsa non cresce. Certo, può crescere semmai il rapporto tra prezzo e utili, specie quando i capitali si dirigono in un dato mercato, fiduciosi del futuro di quest’ultimo. Ad esempio, molte attività italiane sono sottovalutate in borsa a causa della sfiducia degli investitori stranieri verso il sistema Italia. Le stock option non sono un modo automatico di aumentare lo stipendio, bensì di favorirne le dinamiche positive. Serve allegarlo a un nuovo patto con il dipendente: diligenza in cambio di risultati tangibili.

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