Sul nuovo Patto di stabilità dovrà i capi di stato e di governo europei dovranno trovare un accordo entro l’anno. Già si registrano frizioni. Da un lato paesi come l’Italia, a cui si sta aggiungendo la Francia, che invocano la giusta dose di flessibilità. Dall’altro i paesi rigoristi come la Germania e l’Olanda, propensi a puntare sul ritorno pieno all’austerità fiscale. Il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner, è sotto pressione a Berlino dai suoi alleati ambientalisti e socialdemocratici.

Gli chiedono un giorno sì e l’altro pure di finanziare in deficit misure di spesa sempre più disparate e dopo mesi di vana resistenza sta cercando di rialzare la testa. Ci saranno 30,6 miliardi di euro in meno di fondi a disposizione dei ministeri per il 2024, ad eccezione della Difesa.

Nuovo Patto di stabilità e vecchi rischi

E sul nuovo Patto Lindner, che è anche leader dei liberali dell’FDP, propone la regola per cui la riduzione del rapporto debito/PIL ogni anno dovrà essere almeno dell’1%. L’attenzione si sposterebbe sulla spesa primaria netta, che dovrebbe crescere meno rispetto al PIL nominale. L’obiettivo di queste misure sarebbe indurre i governi a stringere la cinghia senza sacrificare gli investimenti pubblici.

L’austerità fiscale fa paura. La Francia di Emmanuel Macron brucia tra mille proteste sociali. Nella stessa Germania si stanno verificando scioperi, specie nel settore dei trasporti, che non si vedevano da diversi decenni. L’Italia per il momento sembra essere una felice eccezione, anche se le condizioni della sua economia restano precarie, pur con una crescita anche ad inizio anno superiore alla media dell’Eurozona. Il governo Meloni teme che il ritorno alle regole sui conti pubblici vigenti prima della pandemia ci faccia ripiombare nella lunga fase di bassa crescita.

Crescono investimenti in deficit

I timori del Sud Europa non sono infondati.

Negli anni in cui Bruxelles richiedeva tagli alla spesa pubblica contro ogni evidenza macroeconomica, il PIL o si fermò del tutto o scese. Le tensioni sociali esplosero e si tradussero in instabilità politica. Il PIL italiano a fine 2019 restava di oltre il 4% inferiore ai livelli del 2007. Al di là di queste giuste osservazioni, però, dobbiamo fare i conti con la realtà. Il debito pubblico in media nell’Eurozona era poco sopra il 65% del PIL nel 2007, prima che esplodesse la crisi finanziaria mondiale. E alla vigilia della pandemia risultava salito all’84%. L’anno scorso chiudeva al 91,5%, pur in netto calo dal picco del 97,2% nel 2020.

Piaccia o meno, il trend si mostra crescente. E non c’è giorno che passi senza che un governo o la stessa Commissione non proponga un impegno di spesa, chiaramente in deficit. Dalla transizione energetica alla ricostruzione dell’Ucraina, non si capisce dove dovremmo prendere le centinaia di miliardi di euro necessarie per gli investimenti. Per contro hanno ragione coloro che si chiedono come si speri di trovare simili somme in pieno ripristino dell’austerità fiscale. Il guaio è che non esistono alternative a quest’ultima. Se esistesse una ricetta che consentisse ai governi di spendere sempre di più senza la necessità di aumentare il prelievo fiscale, sarebbe la benvenuta. Avremmo trovato il Sacro Graal della crescita.

Austerità fiscale garanzia contro crisi future

Questa è la ricetta, però, che possono permettersi solo quei paesi che hanno bassi livelli di debito pubblico e dispongono, quindi, di margini sui conti pubblici. Grazie a questi paesi, l’Unione Europea ha potuto varare in pandemia il Next Generation EU, un maxi-fondo da 750 miliardi, di cui 390 miliardi in sussidi. Infatti, Bruxelles si giova degli alti rating dei suoi membri più solidi come la Germania per finanziarsi sui mercati a costi relativamente molto bassi.

Se ad un tratto i tedeschi, gli olandesi, i finlandesi, ecc., smettessero di fare austerità fiscale, la credibilità del debito comunitario verrebbe meno. Ci costerebbe di più attingere persino ai fondi UE. E la maggiore concorrenza sul mercato dei bond farebbe esplodere i nostri rendimenti sovrani, a fronte di un beneficio minimo in termini di crescita trainata dall’export verso il Nord Europa.

Quando sogniamo flessibilità sui conti pubblici, probabilmente ignoriamo cosa accadrebbe se tutti gli stati europei la perseguissero. Ad oggi siamo stati abituati a beneficiarne in presenza dell’austerità fiscale auto-adottata dagli stati del Nord. E’ come uno studente poco diligente, che appartiene ad una classe mediamente ben preparata, la quale grazie ai buoni voti può andare in gita scolastica a fine anno. Se tutti diventassero svogliati, però, il voto medio si abbasserebbe e addio gita. Gli sforzi di tutti sono richiesti per ripristinare quei margini di bilancio a cui attingere nelle prossime situazioni di crisi. Il rischio di ritrovarsi in futuro a combattere eventi avversi a mani nude cresce con l’aumentare dei debiti.

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