Manca una dozzina di giorni al prossimo board della Banca Centrale Europea (BCE). Ormai, non ci sarebbero più dubbi. L’annuncio sul taglio dei tassi di interesse ci sarà, anche se molto probabilmente di appena lo 0,25%. E secondo Dankse Bank, il secondo e ultimo taglio per quest’anno arriverebbe a dicembre. Nel frattempo, il mercato sconta che negli Stati Uniti la Federal Reserve abbassi il costo del denaro soltanto una volta nel corso del 2024 e a dicembre. L’economia americana si mostra molto più resiliente alle aspettative dei mesi passati, ma lo stesso si può dire dell’Eurozona, anche se qui i tassi di crescita del Pil rimangono bassi con un’inflazione di un punto percentuale inferiore a quella negli States.

Macron chiede alla BCE il doppio mandato

Sul tema ha parlato il presidente francese Emmanuel Macron nel corso di un’intervista alla stampa americana. Ha confermato le vedute del suo governo sulla BCE, trapelate nelle settimane scorse sulla proposta di cambiarne lo statuto. Macron è stato più chiaro ed esplicito: bisogna “allargare” il mandato sull’esempio della Fed. Ha giustificato questa visione con il fatto che l’Eurozona nei prossimi anni assisterà a un aumento dell’inflazione per effetto della decarbonizzazione in atto e della regionalizzazione dei processi produttivi. Le multinazionali stanno accorciando le catene di produzione, avvicinandole ai mercati di sbocco. Produrre sarà più oneroso e ciò avrà riflessi sui prezzi al consumo, così come lo avranno i maggiori costi legati alla transizione energetica.

Come funziona alla Fed

E Macron teme che una BCE che mira solo a perseguire la stabilità dei prezzi, finirebbe per colpire la crescita dell’economia. Ecco spiegata l’invocazione del doppio mandato in stile Fed. La banca centrale americana dopo la crisi del ’29 aggiornò il suo statuto. Esso prevede da allora due obiettivi da centrare contemporaneamente: la stabilità dei prezzi e la piena occupazione.

Solo nel 2012 la Fed esplicitò il primo con un target d’inflazione del 2%, mentre la piena occupazione grosso modo consisterebbe in un tasso di disoccupazione inferiore al 4%.

Per essere più chiari, la Fed alza o abbassa i tassi in base all’andamento sia dell’inflazione che del Pil, visto che quest’ultimo si ripercuote sul mercato del lavoro. Il solo fatto che l’inflazione fosse sopra il 2% non la obbliga ad alzare i tassi, se nel frattempo la disoccupazione risulta elevata. E viceversa. Tuttavia, contrariamente a quanto possiamo pensare, Atlanta negli ultimi decenni non si è mostrata più espansiva della BCE in politica monetaria. Ad esempio, non ha mai azzerato del tutto i tassi e ha sempre escluso di volerli portare sottozero. Inoltre, ha iniettato liquidità sui mercati in quantità nettamente inferiore al Pil USA rispetto a Francoforte. Nella sostanza, il doppio mandato esiste già dall’insediamento di Mario Draghi a governatore a fine 2011. Anzi, si parla informalmente anche di triplo mandato, comprendendo anche l’obiettivo della stabilità finanziaria (vedi piani anti-spread).

Deglobalizzazione accelera l’inflazione

Chi immagina che il doppio mandato equivalga a tassi bassi per sempre, sbaglia. Basta guardare a quanto accade proprio in questi mesi. La BCE sta per tagliare i tassi, la Fed no. E’ vero, la prima si trova a fronteggiare un’economia più debole, mentre la seconda è confortata da crescita del Pil e piena occupazione. Ad ogni modo, in tutti questi anni i tassi Fed sono stati sempre più alti dei tassi BCE. La dichiarazione di Macron, comunque, non è un pour parler. Si tratta dell’esplicita richiesta politica di Parigi di tollerare tassi d’inflazione più alti per non dover sacrificare la crescita in fase di smantellamento della globalizzazione.

E’ un concetto che i nostri lettori hanno appreso da tempo.

La chiusura progressiva dei mercati innalzerà costi e prezzi, traducendosi in perdita del potere di acquisto. Altro che benefici con l’auspicato rimpatrio dei posti di lavoro nel manifatturiero! Anziché cercare di contrastare questa tendenza, alla BCE viene chiesto di fare l’opposto, ovverosia di assecondarla per stimolare la crescita del Pil. E poiché per statuto non potrebbe, sarà proprio questo ad essere rimaneggiato. La Germania resta contraria, ma quanto potrà resistere il muro di Berlino dinnanzi alle picconate di tutto il Sud Europa? La Francia si fa portavoce di un’istanza portata avanti anche da paesi come l’Italia. La voglia di inflazione cela il desiderio di molti governi di ridurre il tasso di indebitamento pubblico gonfiando il Pil nominale.

Doppio mandato per BCE non sarà pasto gratis

Lo abbiamo visto in questi anni. I deficit fiscali in Italia hanno sfiorato persino il 10% del Pil, cifre da primi anni Novanta. Eppure, il rapporto tra debito e Pil è crollato dal 155% al 137,3% in appena tre anni. Pura aritmetica: il denominatore è esploso per effetto dell’inflazione. E dopo un andamento incerto, anche le entrate fiscali stanno aumentando in linea, se non più dell’inflazione. Significa maggiore gettito fiscale a copertura della più alta spesa pubblica. Insomma, l’inflazione usata al posto dell’austerità fiscale. Il problema è che non siamo dinnanzi a un pasto gratis. Stiamo parlando di perdita del potere di acquisto, che dall’ingresso nell’euro la BCE ha tutelato dopo decenni di disordini monetari in Italia e in diversi altri stati dell’attuale Eurozona. Saremo tutti più poveri.

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