Come un brutto sogno senza che ci si riesca a svegliare. La benzina è salita in prossimità di 2 euro al litro in Italia, mentre alcune stazioni di servizio hanno già aggiornato i prezzi oltre tale soglia per la modalità servito. Su base annua, i rincari si aggirano intorno al 25% ed equivalgono a quasi 400 euro in più per le tasche degli automobilisti.

E la corsa dei prezzi non sarebbe finita. Questa settimana, la quotazione del petrolio ha segnato nuovi record, salendo sopra 92 dollari al barile per il Brent, ai massimi dal 2014.

Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, il balzo è del 50%. Ancora peggio va al gas, la cui quotazione in Europa sostava l’altro ieri a 82 euro per megawatt-ora, implicando un aumento tendenziale di oltre il 350%. Completa la raffica di cattive notizie il boom anche dei prezzi delle emissioni di CO2 scambiate sul mercato Ets. Hanno segnato un ennesimo record sopra i 94 euro per tonnellata, qualcosa come il +152% anno su anno.

L’Unione Europea impone a oltre 11.000 aziende un tetto massimo alle emissioni inquinanti. Superato il limite consentito, le aziende possono continuare ad inquinare solo acquistando tonnellate di CO2 sul mercato da chi evidentemente riesce a stare al di sotto della soglia. Di anno in anno, questa si abbassa per costringere i produttori a disinquinare. Il risultato di questi mesi è sotto gli occhi di tutti: le subitanee politiche ambientaliste “gretine” stanno facendo esplodere i prezzi agli Ets, ripercuotendosi sui prezzi dei beni prodotti.

Benzina a 2 euro e malessere generale

La situazione è drammatica. In settimana, i vetrai di Murano sono state costrette a fermare la produzione a causa dell’esplosione dei prezzi di luce e gas. Un problema particolarmente avvertito dal comparto siderurgico, dove numerose piccole aziende che fondono e lavorano l’acciaio da settimane hanno lamentato l’impossibilità di tenere il passo con il caro bollette.

Si tratta di realtà energivore, che hanno bisogno di parecchia energia elettrica per produrre e che non riescono più a sostenerne i costi.

La benzina a 2 euro è la spia di un malessere ben più generale rispetto a quello che sta colpendo i soli automobilisti. E a sua volta, esso si ripercuote sui costi di trasporto su gomma, accelerando il tasso d’inflazione. Una dinamica nota da sempre e che pensavamo di esserci messi alle spalle dopo un lungo decennio di prezzi stabili. Gli autotrasportatori chiedono al governo interventi per mitigare il caro carburante. Peraltro, il prezzo media di un litro di benzina è schizzato a 1,85 euro. Di questi, 1,06 euro sono tasse, il 57,4%. Parliamo delle accise per 72,84 centesimi e dell’IVA per i restanti 33 centesimi e rotti. Insomma, lo stato ha precise responsabilità dietro al carovita. La sua ingordigia lo spinge a segare l’albero su cui sta seduto, credendo erroneamente di fare un affare stangando i consumi di carburante. Questi gli fruttano sui 35 miliardi di euro all’anno tra accise e IVA, quasi 2 punti di PIL.

Una via d’uscita immediata non esiste. Hai voglia ad invocare l’energia nucleare per sopperire alla dipendenza storica dell’Italia verso l’estero. Se tutto andasse bene, i primi risultati li avremmo tra una ventina di anni, avendo smantellato le centrali nucleari dalla fine degli anni Ottanta. La crisi ucraina aggrava lo scenario. La Russia sta volutamente fornendo meno gas all’Europa per tenerci sulle spine e lontani dai proclami bellici di Washington sul rischio di un’occupazione di Kiev da parte di Mosca. La Germania ha sinora reagito bloccando l’autorizzazione a favore di Nord Stream 2, il gasdotto con cui la Russia porterebbe il gas nel continente attraverso il Mare Baltico. E la tensione geopolitica sostiene anche il petrolio e finisce per soffocare consumi e ripresa economica dopo la pandemia.

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