Dall’inizio dell’anno le quotazioni di Bitcoin hanno registrato un ulteriore boom del 50% e segnato nei mesi scorsi nuovi record assoluti, pur ritracciando successivamente. Il 2024 si è aperto con il via libera da parte della Securities and Exchange Commission, la Consob americana, alla richiesta di undici Etf di poter investire nella “criptovaluta” sul principale mercato mondiale. Dopo anni di minacce più o meno esplicite, le autorità finanziarie degli Stati Uniti sembrano avere fatto proprio il detto “se il nemico non lo puoi sconfiggere, fattelo amico”.

Il cambio di passo a Washington ha ridotto di gran lunga quelli che sono percepiti quali rischi legali, spingendo molti investitori a gettare definitivamente il cuore oltre l’ostacolo.

Boom Bitcoin e fattore geopolitico

E il boom di Bitcoin fosse, in un certo senso, voluto? Il discorso si fa un po’ più complesso. Questa settimana, il presidente cinese Xi Jinping ha ricevuto l’omologo russo Vladimir Putin in pompa magna. Tra i due è scattato un insolito abbraccio per il protocollo di Pechino. Il gesto è stato un segnale inviato al resto del mondo: “c’è vita all’infuori dell’Occidente”. I due paesi guidano da tempo i cosiddetti Brics, un insieme di economie emergenti desiderose di affrancarsi dallo strapotere del dollaro Usa. Le rispettivi banche centrali stanno facendo incetta di oro con l’obiettivo di diversificare le riserve valutarie e di allentare la dipendenza della finanza dollaro-centrica.

Corsa all’oro tra banche centrali

Nel 2022 furono 1.081,9 le tonnellate di oro acquistate dalle banche centrali nel mondo. L’anno successivo il dato fu di 1.037,4 tonnellate e solamente nel primo trimestre di quest’anno 289,7. Il metallo giallo è schizzato ai nuovi massimi storici, fin sopra i 2.400 dollari l’oncia. E’ un brutto segnale per il biglietto verde. L’oro è considerato l’anti-dollaro per eccellenza. Quando il suo valore di mercato sale troppo, c’è aria di sfiducia per la divisa statunitense.

Non è un caso che sia percepito primario “safe asset”, specie in tempi di crisi e tensioni internazionali.

Sarebbe un pessimo segnale, a guerra in corso tra Russia e Ucraina, se il prezzo dell’oro salisse vertiginosamente. I “nemici” dell’America assumerebbero un peso negoziale più forte nei consessi internazionali. Farebbero valere la loro capacità di depotenziare il dollaro. Già la Cina da anni ha ridotto le sue esposizioni verso il debito pubblico americano, dai 1.200 miliardi del 2018 ai 775 di oggi. Ecco che il boom di Bitcoin può fungere da diversivo per allentare la corsa all’oro. Di fatto, un nuovo asset dalla natura tendenzialmente deflattiva per attirare parte dei capitali che altrimenti si rifugerebbero nei lingotti.

Status del dollaro ad oggi non minacciato

Considerate che solamente Bitcoin vale ormai quasi 1.300 miliardi di dollari e l’intero mercato delle “criptovalute” supera i 2.300 miliardi. Pensate se questa enorme massa di denaro fosse investita in un asset come l’oro. I prezzi risulterebbero esplosi a livelli ancora molto più esorbitanti di quelli a cui sono già arrivati. Per il dollaro arriverebbe il “redde rationem”. Ad oggi, nessuno ne mette in dubbio lo status di valuta di riserva mondiale. Il suo peso tra le riserve incide per oltre il 58%, seguito a lunghissima distanza dall’euro sotto il 20%.

La prospettiva di spodestare il dollaro non è certo imminente. Ed è molto probabile che non se ne avvantaggerebbe una valuta specifica, semmai si tenderebbe a un sistema multi-valutario. Nessuno è in grado ad oggi di fare concorrenza al dollaro per affidabilità, stabilità e liquidità. Ma ciò non toglie che zio Sam debba giocare d’anticipo per evitare di ritrovarsi tra qualche decennio a gestire un collasso dell’ordine finanziario mondiale costruito dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale.

Boom Bitcoin meno temibile dell’oro per il dollaro

Il boom di Bitcoin è visto come un segnale di sfiducia verso la finanza tradizionale.

Il token digitale nacque nel gennaio del 2009 proprio per iniziativa di tale Satoshi Nakamoto, in reazione alla crisi dei mutui subprime e alle conseguenti stamperie delle banche centrali per impedire un collasso della liquidità globale. Tuttavia, l’asset non è (ancora) temibile come l’oro. A differenza del secondo, non gode della rispettabilità e del riconoscimento universale. Anzi, la gran parte dell’opinione pubblica mondiale lo considera alla stregua di una truffa, uno schema Ponzi destinato a infliggere grosse perdite a chi vi ha abboccato. E male che vada, meglio per il dollaro avere due nemici mediamente forti, anziché solo uno fortissimo.

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