Mancano poche settimane al summit cruciale dei BRICS che si terrà a Johannesburg, nel Sudafrica. L’incontro sarà in presenza, nonostante sulla testa del presidente russo Vladimir Putin penda il mandato di arresto della Corte Penale Internazionale. Sarà l’occasione per guardarsi in faccia e fare il punto su dove s’intende andare e insieme a chi. I capi di stato e di governo di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica hanno creato da tempo un blocco geopolitico alternativo all’Occidente.

Nel 2014 hanno istituto anche la Nuova Banca per lo Sviluppo, dotata di un capitale iniziale di 50 miliardi di dollari e che nei fatti si pone l’obiettivo di diventare la rivale nel mondo del Fondo Monetario Internazionale nel sostegno alle economie emergenti.

Moneta comune per ora solo suggestione

Una sessantina di paesi valuta l’adesione ai BRICS e tra le richieste vi è quella assai importante sul piano sia geopolitico che economico dell’Arabia Saudita. La scorsa settimana è giunta notizia che il blocco annuncerebbe in agosto il lancio di una moneta comune. Obiettivo non dichiarato, ma risaputo: scalzare il dollaro dal suo status di valuta di riserva mondiale.

La moneta comune è una grande suggestione, ma che per il momento resta sulla carta. Commentando l’indiscrezione, il ministro degli Esteri indiano ha negato l’interesse di Nuova Delhi per tale iniziativa. Ha ribadito che l’obiettivo del governo di Narendra Modi è e resta di consolidare sui mercati internazionali la rupia indiana. Non è una dichiarazione di poco conto. L’India è la seconda gamba più grande che sorregge i BRICS dopo la Cina. E tra le due potenze esistono svariati motivi di frizione. Entrambe ambiscono a diventare almeno potenza regionale.

Nel prossimo decennio l’economia indiana dovrebbe crescere più velocemente di quella cinese. Secondo diverse previsioni, il gap del PIL si ridurrà considerevolmente.

Dalla sua l’India vanta una popolazione più giovane e rapporti più amichevoli con l’Occidente. Ed abbonda di manodopera specializzata, specie nel comparto high-tech. A differenza di Pechino, poi, il subcontinente asiatico è una democrazia, pur imperfetta. Non ultimo, i suoi abitanti parlano l’inglese, un fatto che facilita le relazioni con il resto del mondo.

Sanzioni a Russia accelerano piani contro Occidente

Non ci sono soltanto rivalità geopolitiche a rendere poco probabile il lancio imminente di una moneta comune a tutti i BRICS. Essa rischia di colpire le monete nazionali dei suoi membri, specie se fosse garantita da materie prime come l’oro. A quel punto, diverrebbe un riferimento più solido per gli investitori stranieri, se non anche per quelli domestici. E oltre all’India, siamo sicuri che gli altri governi abbiano intenzione di indebolire le loro monete nazionali? Sarebbe un grosso rischio per la stabilità economica e finanziaria. Pensate ai riflessi che ciò avrebbe sull’inflazione.

Al di là di tutti i rischi e dei dubbi numerosi che esistono circa il piano, dobbiamo ammettere che i BRICS stiano propendendo per ingaggiare una battaglia a viso aperto contro il dollaro. Ad accelerare i loro piani c’è stata la guerra tra Russia e Ucraina. Essa ha visto il mondo dividersi in due blocchi contrapposti. Da una parte l’Occidente con Kiev, dall’altra gran parte dell’Asia e delle economie emergenti formalmente neutrale, nei fatti in combutta con Mosca. Le sanzioni imposte da Nord America ed Europa contro la Russia hanno convinto persino attori come l’India ad allentare la dipendenza dal dollaro, percepito come un’arma in mano a un blocco di paesi potenzialmente ostile alla prima occasione utile.

BRICS studiano alternativa al dollaro

Cina e Russia lavorano già alla costituzione di un sistema di pagamenti alternativo allo SWIFT.

Non sarà facile. Serve credibilità per mollare il dollaro in favore di valute differenti. Lo yuan è manovrato dalla Banca Popolare Cinese e non direttamente accessibile agli investitori stranieri. E’ vero del resto che da qualche anno le banche centrali stiano comprando oro in quantità record. Sarebbe la conferma che cercherebbero di garantire le rispettive monete nazionali con un “safe asset” dal valore indubbio nel tempo e ovunque nel pianeta.

Washington commenta tali voci tramite il segretario al Tesoro, Janet Yellen, la quale ha ribadito che “il dollaro continuerà ad essere dominante anche negli anni futuri”. Ed è vero. Solo che gli Stati Uniti stanno perdendo alleati preziosi nel mondo, tra cui il regno saudita. Con Riad avevano dato vita mezzo secolo fa al sistema dei petrodollari, essenziale per il dominio del biglietto verde. La monarchia ha segnalato estrema insofferenza verso l’amministrazione Biden e ha siglato di recente un accordo con Pechino per scambiare greggio in yuan. I fatti dicono che per il momento l’intesa rimane sulla carta, ma il solo fatto che il principale esportatore di oro nero nel mondo abbia scelto di stare dalla parte dei russi, la dice lunga sulla contrapposizione che si è venuta a creare tra i detentori dei capitali (Occidente) e i possessori di materie prime (BRICS). Nessuno potrà fare a meno dell’altro.

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