Le cattive notizie raramente arrivano da sole. Ne sa qualcosa Emmanuel Macron, che è il vero volto della sconfitta alle elezioni europee di due settimane fa. Il suo partito centrista in Francia è stato così umiliato dal Rassemblement National di Marine Le Pen, che il presidente ha deciso di sciogliere l’Assemblea Nazionale e indire elezioni anticipate per il 30 giugno. Nel Parlamento europeo le cose non gli stanno andando meglio. Questo pomeriggio è arrivata la notizia che i 7 deputati di Ano, formazione ceca che fa capo al presidente Andrej Babis, hanno abbandonato Renew Europe, il gruppo dei liberali capeggiato proprio da Macron.

Era già sceso a 81 seggi dai 102 della scorsa legislatura, adesso si riduce a 74. I conservatori di ECR, capeggiati da Giorgia Meloni, hanno effettuato il sorpasso con 83 seggi (+14).

Maggioranza Ursula non auto-sufficiente

Commentando i dati, Sandro Gozi, ex sottosegretario del Partito Democratico e oggi deputato al Parlamento europeo con il partito macroniano, ha smentito che abbia senso la lotta per attestarsi terzo gruppo dopo Partito Popolare e Socialisti. Conta, ha spiegato, che la maggioranza che sosterrà Ursula von der Leyen per la rielezione a presidente della Commissione, sia composta dagli stessi tre partiti. Una mezza verità. Con l’uscita di Babis, che non ha ancora chiarito dove siederà (ha escluso un ingresso in ECR), la maggioranza Ursula scende a 399 seggi. Serviranno almeno 361 voti favorevoli su 720 per ottenere il bis. I franchi tiratori, cioè coloro che votano in segreto in contrasto con le indicazioni del rispettivo gruppo, sono stimati generalmente intorno al 10%. Dunque, la tedesca rischia di non farcela.

Renew con le spalle al muro

Che Macron sia indebolito, lo dimostra anche il fatto che i liberali di Vvd, facenti capo all’ex premier Mark Rutte, appena nominato prossimo segretario della Nato, non saranno espulsi da Renew dopo avere formato il governo con la destra euro-scettica di Gert Wilders.

E questo succede perché ogni voto al Parlamento europeo conterà nelle prossime settimane. Macron è già in ginocchio in patria sul piano politico, sta cercando disperatamente di continuare a fare il galletto nei consessi internazionali. Ma le sue parole incutono sempre meno timore ai partner. Contano i numeri, che sembrano avergli voltato le spalle.

Ursula von der Leyen non è una sprovveduta. Aveva calcolato per tempo quanto sarebbe accaduto e, infatti, si è avvicinata da mesi a Meloni. Per questo Macron l’aveva messa nella lista nera, escludendone il bis. Ma non è nelle condizioni di dettare legge dopo la batosta alle europee e la probabile sconfitta alle elezioni di fine mese. Anzi, adesso punta a chiudere l’accordo sulle nomine prima che si tenga il secondo turno delle legislative, fissato per il 7 luglio, temendo che dopo conterà quanto il due di coppe quando la briscola è spade.

Macron stella cadente al Parlamento europeo

La tedesca avrà bisogno dei 25 deputati eletti da Fratelli d’Italia al Parlamento europeo. In tutto, Meloni arriverebbe a controllare una trentina di seggi, indispensabili per sventare il rischio che i franchi tiratori vadano a segno. Ma la premier italiana non offrirà il suo sostegno gratis. In cambio chiede un “top job” nella Commissione, con buona pace di cadaveri politici come Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, che puntano ad escludere l’Italia da tutte le nomine. Si parla di una vice-presidenza con deleghe pesanti, magari all’economia, alla concorrenza o alla difesa. E dall’8 di luglio per Macron si metterà ancora peggio.

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